Moda veloce, ma sostenibile?

 

 

Fast fashion. Da tradursi letteralmente con “moda veloce”, è un settore dell’abbigliamento che produce e vende capi di bassa qualità a prezzi super-ridotti e che lancia nuove collezioni in tempi brevissimi. È comparso tra la fine degli anni ‘90 e i primi 2000 e ha portato a un aumento del 400% dei capi di abbigliamento rispetto a 20 anni fa; prima lo shopping era un evento occasionale e, in generale, le persone consumavano meno rispetto ad oggi. Ma perché l’industria del fast fashion ci riguarda in prima persona?

 

Tutto nasce da un problema di sfruttamento delle persone coinvolte e dell’ambiente, e riguarda il futuro di tutti noi. Nasce tutto dal fatto che le catene di abbigliamento low cost hanno bisogno di ridurre i costi e di accelerare i tempi di produzione; quindi esportano la produzione all’estero, nei Paesi in via di sviluppo, dove la manodopera costa meno. Il problema è che spesso questi sono Paesi in cui i datori di lavoro sono poco attenti alla qualità di vita dei lavoratori e alle loro esigenze salariali, perciò non sarebbe inusuale trovare un dipendente che lavora 14 ore al giorno, pagato 1 euro all’ora: una follia. 

 

E se i responsabili del fast fashion non sono attenti alle esigenze dei lavoratori, purtroppo non possiamo aspettarci che lo siano nei confronti dell’ambiente. 

I due materiali più utilizzati sono il poliestere e il cotone. Il primo deriva dal petrolio, è il principale responsabile delle microplastiche presenti nei mari e inoltre è poco traspirabile e non biodegradabile, quindi nocivo per l’ambiente e per l’uomo; il secondo non è un problema in sé ma lo è la sua produzione e lavorazione, perché porta all’utilizzo di un’ingente quantità di acqua. 

Infatti il 20% dell’inquinamento delle acque mondiali è dovuto alla tintura e ai vari trattamenti tessili! È una questione che ci riguarda in prima persona perché l’acqua utilizzata nei Paesi in via di sviluppo, dove la sostenibilità non è un problema sentito, viene scaricata in modo illegale nei fiumi; ed è la stessa acqua che arriva alle piante, agli animali e a noi.

 

È inoltre interessante, quanto preoccupante, sapere che l’industria della moda è la seconda più inquinante dopo quella petrolifera. Questo anche a causa dell’utilizzo di pesticidi, formaldeide, agenti cancerogeni nei tessuti usati per la realizzazione di capi di abbigliamento indossati dai consumatori di fast fashion. Quindi è un problema anche per la salute.

Inoltre, i marchi fast fashion (i più famosi sono Shein, H&M, Zara, Pull & Bear, Forever 21, ecc.) e i loro lavoratori producono milioni di tonnellate di rifiuti all’anno. Un esempio concreto: nel Regno Unito, un consumatore di fast fashion produce in media 70 kg di scarti di tessuto ogni anno. 

Questo fa capire quanto la fast fashion sia in gran parte incoraggiata dai consumatori; infatti, l’errore più comune sta proprio nel pensare di non poter fare niente per contrastare il problema dello sfruttamento dei lavoratori e dei danni all’ambiente.

 

Cosa si può fare invece effettivamente per non incoraggiare l’industria fast fashion?

È vero che per tutti, soprattutto per i giovani, è più conveniente comprare vestiti a un prezzo basso, ma prima di comprare valanghe di vestiti in quei negozi è importante sapere cosa c’è dietro.

Esistono varie alternative: sono solitamente economici i mercatini dell’usato, ma esistono app come Vinted o Depop, su cui è possibile vendere e comprare anche vestiti nuovi, mai utilizzati: perché tenere a casa capi che possono piacere e andare bene a qualcun altro? 

Per non parlare degli innumerevoli siti che vendono non solo vestiti usati ma anche nuovi, prodotti in maniera sostenibile: nel 2022 la scelta è varia, non ci sono scuse!

 

Si notano già, comunque, dei piccoli segni di cambiamento: il noleggio di vestiti è sempre più frequente e l’acquisto di capi usati si sta diffondendo sempre di più: in generale è presente una maggiore consapevolezza dei consumatori al momento dell’acquisto. Cambiare le proprie abitudini non è impossibile, ci vuole solo uno sforzo in più, che sarà ripagato con la coscienza di stare facendo qualcosa di positivo per il mondo.

Vanessa Verzola, Elemento 38

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