Da Venti Anni

“Da venti anni penso
Al giorno che sarò libero
Allora avrò bisogno di altri venti anni
Per abituarmi a vivere.”

Queste sono alcune delle parole della poesia “Da Venti Anni” di Giuseppe Di Matteo, detenuto presso il carcere di Bollate.

 

Alcuni degli studenti di diritto penale, del Dipartimento di Giurisprudenza, hanno avuto la possibilità di visitare il carcere di Bollate, conoscendo direttamente le persone che passano in esso le loro giornate, un’esperienza formante che ha permesso di capire cosa sia la detenzione in Italia e quanto Bollate sia un unicum nel suo genere.

Indossati dei pass rossi da visitatori, gli studenti sono entrati nella struttura dove ad attenderli vi era un volontario, anch’egli detenuto, che si è occupato di guidarli nell’istituto, mostrando tramite i suoi occhi le possibilità che gli vengono offerte ogni giorno.

“Il rumore delle chiavi si sente solo due volte al giorno, la mattina e la sera alle 20, la stanza di pernottamento è come la stanza di un hotel: ci svegliamo, facciamo una doccia, ed usciamo a lavorare”, ed è proprio il lavoro una delle maggiori caratteristiche del posto, che mira ad attuare al meglio quanto previsto dall’art. 27 comma 3 della carta costituzionale: ”Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, devono tendere alla rieducazione del condannato”. In una delle aree dell’istituto, infatti, è possibile osservare l’impresa “bee4”, nata proprio per offrire lavoro a chi sta scontando una pena, al fine di valorizzare quel tempo e, contemporaneamente, agevolare il pagamento degli oneri che derivano dal mantenimento in carcere e non solo. “Senza lavorare o senza una famiglia che ti aiuta da fuori, qui dentro non puoi starci, se non hai soldi e non puoi comprarti lo shampoo devi sperare che la compagna di cella te lo presti, altrimenti ti lavi solo con l’acqua”. Tanti tra i detenuti hanno ricevuto la loro prima busta paga in carcere, “questo gli permette di imparare a gestirsi”.

Oltre a ciò, l’istituto di Bollate fornisce molti altri strumenti, tra cui, ad esempio, una biblioteca gestita dai detenuti nella quale è possibile studiare per affrontare un percorso universitario, come nel caso di Andrea, prossimo a laurearsi in Scienze Politiche.

“È un ambiente solidale, tutti ci aiutiamo, perché tutti abbiamo l’interesse a farlo”, “Se devo chiedere una cortesia mi rivolgo direttamente alla guardia, non perché ci sia complicità, ma perché si crea confidenza, rapporti umani, cosa che non potevo fare negli altri istituti”. Una detenuta ci racconta di come fossero necessari mesi per poter ottenere una chiamata con la figlia, e di come a Bollate ci siano voluti solo 3-4 giorni. È proprio il contatto con i figli, “il ruolo di madre che è principale nelle donne”, uno degli aspetti più complicati per le detenute, area del carcere in cui si percepisce maggiore tensione e sofferenza. “Abbiamo lottato per un ginecologo, una donna dovrebbe fare una visita almeno una volta all’anno, e nonostante ciò è in infermeria: ci deve accompagnare una guardia, se può, altrimenti non ci vai”.

 

“Pensateci due volte a quello che fate, se una cosa banale la ritenete banale allora significa che vi state comportando in modo superficiale, non ve lo dico da padre, ve lo dico da persona che sta qui dentro”, queste sono state le parole della guida per salutare gli studenti, lasciando in tutti un’esperienza che cambia la vita e la prospettiva su ciò che la detenzione è e ciò che la detenzione dovrebbe essere.

 

Fonti: art. 273 Costituzione; https://bee4.org/
“Da Venti Anni” poesia di G. Di Matteo.

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