NON PIÚ PAROLE COME ARMI MA ARMI COME PAROLE

 

L’articolo 11 della costituzione recita: ‘L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’. L’unica guerra legittima è quella difensiva, eppure dagli anni Ottanta in poi l’Italia ha combattuto molte guerre oltre il proprio confine: In Somalia, Iraq, Libano, Bosnia, Libia, Afghanistan, tutte celate dietro al nome di ‘interventi umanitari’. Fino ad oggi, in cui il Parlamento italiano, assieme a quello di altre tante nazioni europee ha optato per l’invio di armi difensive (e non solo) all’Ucraina, la quale è sotto attacco russo dal 24 febbraio 2022. 

Il trasporto di queste armi è affidato alla Nato. Se tutti i paesi dell’UE hanno reso noto il materiale inviato, il governo italiano ha deciso di secretarlo. Da quanto però è trapelato da fonti qualificate della difesa però, sarebbero stati inviati: lanciatori stinger, mortai da 120 mm, mitragliatrici pesanti Browning, colpi Browning, reazioni K, mitragliatrici leggere, lanciatori anticarro, elmetti e giubbotti. 

Non solo. Nonostante il ripudio alla guerra citato prima dall’articolo della costituzione italiana, c’è la chiara intenzione di aumentare gli investimenti per quanto concernono la percentuale di spesa militari su pil, dall’attuale 1.5% annuo al 2%, passando nei prossimi anni da rispettivamente 26 a 38 miliardi di euro dedicati ad investimenti bellici. Cifre importanti, frutto di decisioni prese ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina ma che trovano nel conflitto il miglior alibi per poter essere universalmente accettate. Quanto c’entra però questo aumento con la guerra in Ucraina? Soprattutto perché gli effetti di questo ‘riarmo’ non si vedranno prima del 2025. L’indicazione di spesa in percentuale al pil in ambito Nato deriva da un accordo informale del 2006 dei ministri della difesa dei paesi membri dell’Alleanza poi confermato e rilanciato al vertice dei capi di stato di governo del 2014 in Galles (obiettivo destinato a raggiungersi entro il 2024), mai state discusse all’interno del parlamento italiano e quindi non un obbligo vincolante per il bilancio dello stato. Gli investimenti, come è successo in questi anni, non sono destinati ad un aumento del personale quanto più ad una spesa a favore dell’industria bellica.

È stato tirato in ballo il pretesto dell’impegno internazionale dello stato come giustificazione dell’intervento, senza far caso che su questa falsariga esso sarebbe dovuto intervenire in ogni focolaio di guerra, dall’Africa all’Oriente. Proprio nel 2011 nell’ambito della crisi civile libica l’Italia decise di non inviare armi allo stato sul quale aveva una grande influenza, in nome del rispetto della costituzione italiana, celando così le reali motivazioni: gli interessi in particolare di Francia e USA; perdendo così di fatto l’alleanza che negli anni aveva ottenuto con il paese nordafricano.

L’armamento risulta comunque essere la risposta più semplice da giustificare di fronte all’opinione pubblica come mezzo di risoluzione alle crisi internazionali, nonostante fino ad ora non abbia mai portato spesso a risvolti positivi. Una ricorsa al riarmo appare fondamentale come mossa difensiva preventiva; ad oggi però la potenza militare della Nato è già enormemente superiore ed evoluta rispetto a quella Russa e a quella di tanti altri potenziali avversarsi geopolitici, in un contesto in cui proprio la crisi ucraina ci ha dimostrato quanto lo strumento militare sia sostanzialmente impotente nel caso di difesa di una nazione aggredita. Citando qualche dato, i paesi dell’Ue nel complesso investono 230 miliardi di dollari l’anno in spese militari, quattro volte in più rispetto alla Russia. 

Inoltre, un conto è destinare tutti gli equipaggiamenti prestanti a servizi civili e umanitari, che, altra cosa è una pianificazione in poco tempo di un picco elevato di investimenti in spese militari che finisce a spingere anche l’Italia ad una corsa al riarmamento, che appare non utile nell’immediato soprattutto nel momento in cui la popolazione ucraina lamenta della scarsità di corridoi umanitari canalizzati dai paesi europei. Si parla di riarmo, mentre c’è poca riflessione sulle vittime e gli sfollati, basti pensare che ancora ad oggi non è nemmeno chiaro il numero delle vittime dall’inizio della crisi.

Per quanto riguarda l’industria bellica italiana, seppur molto meno sviluppata di quella statunitense, spiccano in particolar modo tre aziende: ‘Leonardo Spa’, ‘Fincantieri spa’ e ‘Iveco Defence Vehicles’. Proprio quest’ultima (fonte ministero della difesa) ha un fatturato netto di 340.283.381,04 all’anno ed appartiene proprio al gruppo Fiat (Exor), che è proprietario del gruppo editoriale GEDI. Questo gruppo editoriale comprende molteplici testate giornalistiche, periodici e canali radio nazionali. Per citarne alcuni: La Repubblica, la Stampa, Il secolo XIX, Huffpost Italia, Radio Deejay, Radio Capital ed M2O.

L’impressione inoltre sul tema dell’invio di armi è quella che non ci sia un vero e proprio dibattito a tutti i livelli ma che questo venga annebbiato, emarginato, nonostante svariate voci abbiano espresso la propria opinione a proposito dell’invio di armi all’Ucraina a partire dal Papa il quale si è pronunciato contrario, fino all’Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani, con inoltre quasi tutti i sondaggi che riportano un’opinione pubblica a maggioranza contraria (circa al 55%) all’invio di armi. 

Ovviamente, queste opinioni non sono state considerate poiché L’Italia, in un momento di tale crisi per l’Europa non poteva certo non accodarsi agli interventi stabiliti e optati dalla Nato nonostante molteplici paesi, come Israele (atlantista per natura) e Turchia abbiano avuto la libertà ed il coraggio invece di farlo. Proprio questi due paesi, benché non appartenenti all’Unione Europea, sono stati i principali e forse gli unici protagonisti di trattative di pace (seppur fallite). 

Che sia lecito e dovuto prendere le distanze da un paese come la Russia, risulta scontato, non risulta scontata però la tattica e la volontà di alcune forze politiche e militari Europee e Americane. Qual è l’obiettivo? La pace? Perché se lo fosse, avremmo forse potuto assistere a qualche iniziativa da parte dei paesi appena citati, a partire dalla nostra Italia. Si sono svolte delle reali trattative diplomatiche per evitare questi eccidi che ogni giorno aumentano sempre di più? Al momento nessuno sembra conoscere una soluzione pacifica che possa risolvere la situazione, soprattutto dal momento che si ha a che fare con un personaggio come Vladimir Putin. Certo è che preparare psicologicamente gli europei non ad una pace ma ad una futura guerra nucleare non è la mentalità opportuna.

Sarebbe però ingenuo pensare che alcuni paesi come gli Stati Uniti non abbiano ottenuto un indiretto vantaggio dalla situazione, dal punto di vista dell’economia bellica, energetica e del potere d’influenza geopolitica. Alcuni interventi, inoltre, del Presidente USA possono aver reso ulteriormente tesa la situazione supportando in vari passaggi un’escalation verbale che sembra sia utile per giustificare quella militare. 

Ricordo che tra le dieci industrie belliche più importati al mondo, 6 sono americane (Lockheed Martin Corp., Raytheon Technologiese, Boeing United States, Northrop Grumann, general Dynamics Corporation), 1 inglese e 3 cinesi. Gli Stati Uniti hanno promesso 350 milioni di dollari in aiuto per armamenti e poi 800 e diversi paesi dell’Ue di conseguenza si sono accodati, obbedendo ciecamente sulla scia emotiva dell’atlantismo. Ci dimentichiamo però del fatto che gli USA, come tanti paesi, non ha uno stato sociale come quello italiano, che prevede un’istruzione, una sanità e altrettanti servizi pubblici, spese che gravano sul nostro paese così come non succede in altri, per lo più dopo la crisi economica derivante da due anni di pandemia. Si rimane stupiti davanti alla prospettiva di un massiccio aumento delle spese militari a breve termine per un’economia come quella italiana, senza aver dato alcuna certezza a sostegno dei cittadini e delle imprese italiane che da mesi richiedono al governo uno spostamento di bilancio.

È giusto però sottolineare il fatto che sin dal principio dell’aggressione russa in Ucraina, il popolo attaccato ha espresso a gran voce l’interesse nel difendersi, escludendo fin da subito l’ipotesi della resa in cambio della cessione di alcuni dei propri territori. È sembrato doveroso combattere, resistere, in nome della liberaldemocrazia, della custodia della propria lingua, dei propri territori, dei propri statuti e in generale dei diritti inalienabili di qualsiasi paese. L’appello degli ucraini, infatti, non è tanto quello di un aiuto per la pace quanto più un sostegno al combattimento: questo non è un dettaglio, perché ogni popolazione ha libero arbitrio (ovviamente entro certi limiti) e di certo non possiamo avere noi il diritto di poterlo abolire.

Questa è stata la motivazione utilizzata da molti per spingere verso l’invio di armi all’Ucraina, senza però tenere a mente che l’appoggio, il sostegno e la solidarietà ad uno stato una cosa diversa dal buttare benzina sul fuoco in una situazione europea già enormemente tesa, portando ancora più vittime e distruzione, violando anche la nostra carta costituzionale. Per di più una questione è fare appello alla libertà di giurisdizione di ogni stato e quindi fare un ragionamento prettamente politico, altra è ragionare in termini umanitari e quindi di fronte alla morte di migliaia di persone e di fronte alla possibilità di arme chimiche e nucleari.

Non possiamo avere né la minima idea né la presunzione di parlare di tattiche militari, non possiamo permetterci di giudicare le posizioni assunte da altri paesi, ma una cosa mi sembra chiara: la guerra, per qualsiasi motivazione nasca, dalla più nobile (sempre che ci siano cause di guerra nobili) alla più indegna, porta solo a morte, tragedia, disperazione, povertà, distruzione. E a pagarne sono sempre i civili, che nella maggior parte dei casi mai avrebbero desiderato lo scoppio di un conflitto ma sono vittime di decisioni prese per loro e non da loro. Basta guardare le immagini sui nostri schermi, i reportage, i servizi dal fronte ucraino, per renderci conto dell’atrocità di quello che sta avvenendo, come purtroppo in altrettante parti del mondo. Perché si sa, l’occhio umano finché non vede non crede o non comprende. Noi abbiamo la ‘fortuna’ di poter essere testimoni di questa situazione, seppur in piccola misura e non possiamo girare la testa dall’altra parte. Se questo è essere pacifisti, sì, sono orgogliosa di esserlo, così come dovrebbe essere il paese a cui sono fiera di appartenere. Abbiamo una Carta costituzionale che lo prova. Se ormai tuttavia si sceglie di poterla non rispettare quando si desidera col pretesto che sia retrograda e non universalmente applicabile, allora che si abbia il coraggio di cambiarla. Non possiamo continuare a condannare le azioni se vengono commesse in altri paesi e per le stesse essere indulgenti nel nostro.

È ipocrita continuare a pensare che non si possa agire con l’intento di modificare le cose, anche nel nostro piccolo, perché in ogni guerra, soprattutto i paesi non coinvolti hanno il potere di modularne l’andamento in maniera anche molto massiccia. 

Sembrerà scontato dirlo (purtroppo ora non lo è più), non ci sono soluzioni alla morte, alla distruzione, alla disperazione, se non un’unica sola: la pace.

 

BIBLIOGRAFIA

Wikipedia: «GEDI Gruppo Editoriale». In Wikipedia, 5 aprile 2022. https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=GEDI_Gruppo_Editoriale&oldid=126617021.

TPI: articolo di Michele Anis: ‘Stiamo aggirando la Costituzione italianae Lara Tomassetta e Veronica di Benedetto Montaccini.

Greta Gaiba

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