“PILL-SHAMING”: UN ANALISI DEL CONTESTO OLTRE LA MALATTIA

Dal 2013, si è diffuso sui social media il termine “pill shaming”, ovvero l’insieme di atteggiamenti negativi contro chi cura la propria malattia mentale. Ma quali sono le cause di questo stigma? 

 

La parola pill-shaming sta ad indicare l’insieme di atteggiamenti negativi da parte di terzi nei confronti di chi assume farmaci per curare una malattia mentale. Il termine si è diffuso nel 2013 su Twitter a pari passo con la progressiva presa di coscienza degli stigmi contro le malattie mentali, che possono presentarsi al paziente in diverse accezioni – quali lo screditamento delle cure intraprese o lo sminuimento della propria difficoltà.

 

La società moderna, di fatto, non è felice: il quotidiano The Guardian (7) parla di un costante aumento di malattie croniche quali l’ansia e la depressione. L’Istat puntualizza inoltre che in Italia questi disturbi affliggono il 5,5% della popolazione, con una preoccupante impennata nelle fasce d’età più anziane.

 

sopra: percentuale di europei affetti da depressione cronica nel 2019 (Eurostat) 

 

Molti si cullano nell’ipotesi di un’unica spiegazione per tanta tristezza, ma la verità è che la “depressione post-moderna” può essere capita solo da un fitto intreccio di concause: Durkheim giustifica l’odierna ansia contemporanea con la sua intrinseca mobilità, che concederebbe ai soggetti la libertà di poter scegliere da sé il proprio destino ed il peso di doverlo scegliere bene, pena il fallimento personale. Lyotard parla del risultato della delusione per la caduta degli ideali positivisti a seguito delle due guerre mondiali, quali la supremazia della razionalità sull’istinto. Inoltre, sta emergendo sempre più una diretta correlazione tra l’utilizzo dei social media e l’incremento della depressione in età adulta.

 

È normale quindi che in una società così determinista e disillusa ci si possa sentire sotto pressione; le difficoltà odierne non sono da tenere a mente nella sola ipotesi in cui si soccomba alla malattia mentale, ma già da quando iniziano a condizionare la qualità di vita del singolo cittadino – e ad oggi pare tre quarti delle persone si siano sentite sopraffatte dallo stress.

 

                   

a sinistra: il sociologo francese Émilie Durkheim

a destra: il filosofo Jean-François Lyotard

 

Con l’aumento dei disturbi mentali, si sono volte sempre più attenzioni allo studio delle sue cause e dei suoi segnali d’allarme; tuttavia, ben poca attenzione è stata riservata alla reazione del contesto sociale alla difficoltà del singolo: nel caso d’ansia o di depressione, i soggetti esterni sembrino dare più supporto verbale ai pazienti depressi, seppur diano un’impressione peggiore. Tra gli studi avanzati in merito, R. S. Stephens, J. E. Hokanson e R. Welker hanno evidenziato come la reazione del terzo possa differire in base alla malattia postagli davanti

 

I soggetti che hanno interagito con confederati depressi hanno visto il loro partner più negativamente ed erano meno interessati all’interazione futura rispetto ai soggetti che interagivano con confederati ansiosi o normali. In particolare, gli obiettivi depressi sono stati percepiti essere più ostili, più distaccati, meno affiliativi e meno socievoli delle loro controparti ansiose. Nonostante il loro impatto negativo, i confederati depressi suscitavano più supporto verbale e consigli e un maggiore silenzio da parte dei soggetti.”

 

La netta discrepanza tra l’atteggiamento mostrato – “maggiore supporto verbale” – e la tacita impressione – “minore interesse in una possibile interazione futura” – del terzo soggetto è spiegata dalla pressione sociale.

 

“Sebbene differenze comportamentali negli obiettivi depressi possano spiegare alcune discrepanze nei risultati, sembra probabile che mettere il soggetto in un ruolo di aiuto abbia accentuato le pressioni sociali che dettano un comportamento di aiuto e limitano le manifestazioni critiche (per esempio, Berkowitz, 1969). […] Le norme sociali, imposte dal ruolo, possono interagire con la sintomatologia depressiva per determinare la risposta manifesta degli altri, mentre le relazioni affettive al bersaglio depresso possono mediare l’interesse nell’interazione futura.

 

Il pill shaming si potrebbe dunque ricollegare ad uno spiacevole incontro tra l’incapacità di entrare in relazione con la problematica affrontata e la maggiore inclinazione al supporto verbale che, a seguito delle scarse conoscenze dell’interlocutore sulla malattia, si traduce in discriminazione nei confronti del paziente.

 

Tuttavia, l’incapacità di entrare in relazione con il malato non può essere spiegata da una semplice mancanza di educazione dell’interlocutore. Gli odierni studi non sono ancora riusciti a delineare i motivi per cui una persona, dopo un incontro con un malato, può sentirsi più o meno affetta da umore negativo. Tra le possibili spiegazioni, si ipotizza la consapevolezza dell’interlocutore di porsi come “aiutante”, dunque, di adottare un approccio più oggettivo e distaccato all’argomento di discussione.

 

Non abbiamo scoperto alcuna prova dell’effetto di induzione di umore negativo ipotizzato come risultato di un’interazione con una persona depressa. […] i soggetti in un ruolo di aiuto avevano meno probabilità di sperimentare effetti negativi dopo aver interagito con un confederato depresso rispetto ai soggetti che credevano di partecipare a uno studio di percezione della persona. Hanno ipotizzato che i compiti percepiti come una sfida […] o che richiedono una prospettiva oggettiva (per esempio, l’aiutante) avrebbero mitigato l’effetto di induzione del male. […] Anche se altri ricercatori hanno trovato un’induzione negativa dell’umore […], la portata dell’effetto non è chiara”.

 

A discapito delle recenti attenzioni, si sa ancora troppo poco del pill shaming o, ancora meglio, di come il mondo esterno reagisce e metabolizza la malattia mentale dell’altro. Una cosa è però certa: la sensibilizzazione alle malattie mentali porta non solo ad un intervento più tempestivo sul malato, ma anche ad una migliore comprensione da parte di terzi di cosa significhi veramente soffrire di malattie mentali.

 

FONTI:

  1. D. Kahnemann, Pensieri Lenti e Veloci, Milano: Mondadori, 2013
  2. J. E. Horakson, R. S. Stephens e R. Welker, Responses to depressed interpersonal behavior: mixed reactions in a helping role (1987)
  3. https://en.wikipedia.org/wiki/The_Postmodern_Condition
  4. https://le-citazioni.it/frasi/143274-jean-rostand-essere-adulti-e-essere-soli/
  5. https://www.britannica.com/topic/social-mobility
  6. https://www.forbes.com/sites/alicegwalton/2015/02/17/the-subtle-symptoms-of-depression/?sh=4bd15c591a3e
  7. https://www.istat.it/it/archivio/219807
  8. https://www.mentalhealth.org.uk/statistics/mental-health-statistics-stress
  9. https://www.nbcnews.com/health/health-news/social-media-use-linked-depression-adults-rcna6445
  10. https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/mar/16/depression-mental-health-modern-life-young
  11. https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2015/jan/21/are-you-depressed-without-knowing-it
  12. https://www.healthline.com/health-news/why-do-people-mental-health-disorders-stop-taking-their-medications

 

Sara Magnacavallo

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