ART – Amicizia su tela

 

Di: Martina Suraci (Studentessa presso il DSV Unimore e appassionata di Teatro), con la collaborazione di Saverio Bulgarelli 

 

Art, nato dalla penna di Yasmina Reza, è il secondo spettacolo di RIFUGI, la stagione teatrale lanciata da MaMiMò – Teatro Piccolo Orologio che proseguirà fino al 2022, alternando nuove produzioni e ospitalità rinviate a causa della pandemia. 

Il nome scelto per questa stagione evoca l’immagine di un luogo sicuro, simile a una piccola capanna, in cui ripararci nei momenti difficili per recuperare vecchie certezze o costruirne di nuove, dialogare con noi stessi e il prossimo, invitandolo a entrare nella nostra vita per ricucire i rapporti umani nella loro intimità. 

Il Teatro è da sempre un potente catalizzatore di emozioni, per mezzo del quale l’uomo è in grado di risalire alla parte più autentica di sé, esplorarla in tutte le sue sfaccettature e ricercarla poi negli altri, mettendo da parte anche le divergenze che appaiono, in un primo momento, insormontabili: attraverso le arti sviluppiamo empatia e compassione, strumenti che ci permettono di scavare pazientemente e sempre più a fondo, eliminando il superfluo, fino a individuare ciò che realmente conta nella nostra esperienza con gli altri. 

 

Possiamo affermare che Art ha centrato questi obiettivi; gli altri spettacoli della stagione 2021-2022 (di cui riportiamo il calendario in fondo all’articolo) non saranno certamente da meno. 

 

La commedia

Art è una commedia teatrale, su questo non c’è dubbio: le risate che hanno scosso noi e tutto il pubblico riecheggiano ancora nelle nostre orecchie, e possiamo dire che, da questo punto di vista, l’opera sia tra le più divertenti a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, grazie alla genialità di Yasmina Reza e al talento irriverente degli attori di Generazione Disagio

Definirla solo “commedia” risulta però riduttivo, quasi inadeguato, perché Art sviscera i rapporti umani in maniera radicale: li mette crudelmente a nudo, sul palco; ci mette profondamente in crisi, nella realtà, partendo da un pretesto quasi insignificante (una semplice tela bianca) per poi estendersi al senso stesso del concetto di “amicizia”, fino a insinuare in noi un dubbio tremendo, per nulla trascurabile: ma cos’è, per noi, un amico? E noi, per lui, chi siamo? 

La rappresentazione a cui abbiamo assistito al Teatro Piccolo Orologio, il 30 Ottobre 2021, è la traduzione italiana (ad opera di Federica e Lorenza di Lella) della commedia francese andata in scena per la prima volta nel 1994, presso la Comédie des Champs Elysées di Parigi. 

A portarla su questo palco sono stati tre degli attori di Generazione Disagio: un gruppo giovane e piuttosto anticonvenzionale, guidato dalla regia di Emanuele Conte, che è riuscito, con pochi tratti scenici, dialoghi incisivi e ritmi sempre più serrati, a trascinarci rapidamente dalla risata smodata alla riflessione profonda, fino a condurci ad una sensazione di disagio interiore (che, quando scaturisce dall’arte, è sempre un buon segnale): ogni spettatore si è sentito tirato in causa in prima persona, riconoscendo in sé i dilemmi, le ragioni e i difetti di ognuno dei tre protagonisti, a rotazione, e rapportandoli ai propri legami affettivi nella vita reale. 

 

I personaggi 

Per primo, sul palco, incontriamo Marc (interpretato da Luca Mammoli): il personaggio si presenta a noi in giacca di tweed arancione, all’apparenza educato e razionale, ma al contempo spietatamente ironico, sogghignando per quella che ritiene la più grande follia compiuta dall’amico Serge: il recente acquisto, per 50.000 euro, di una tela completamente bianca, spacciata per arte contemporanea.  

Marc è un ingegnere, ma soprattutto un individuo d’altri tempi, o a cui piace considerarsi tale; deciso nei propri gusti, fermamente rivolti al passato tanto da rasentare il conservatorismo, è al contempo amareggiato e divertito da quelle che ritiene le mode superficiali dell’epoca culturale in cui gli è toccato vivere; ben presto ci accorgiamo che non si fa scrupoli nell’esternare le proprie opinioni, spesso in forma di giudizio, in maniera allusiva o apertamente ostile verso tutto ciò che è moderno e dunque, a suo parere, vuoto; questo atteggiamento viene mantenuto anche quando, a farne le spese, è uno dei suoi amici più stretti. 

Man mano che le vicende si susseguono viene spontaneo chiedersi (a proposito di Marc, ma anche di noi stessi): e se, dietro questa profonda avversione, ci fosse la paura di mettersi in discussione di fronte al nuovo? O ancora: se l’attaccamento morboso al passato nascondesse in realtà l’ansia di perdere gli affetti e i traguardi conseguiti nel tempo? 

 

L’eccentrico Serge (portato sul palco da Graziano Sirressi) è il secondo personaggio di cui facciamo la conoscenza; si tratta di un collezionista benestante dallo stile un po’ dandy, appassionato di arte contemporanea, ma talvolta avventato nelle scelte, come dimostra il suo ultimo acquisto: una costosissima tela, bianca agli occhi dei più, policromatica e particolarissima ai suoi, che è anche l’unico oggetto di scena costantemente presente sul palco; proprio da essa si dirameranno le opinioni, i contrasti e le considerazioni sempre più drammatiche che finiranno per incrinare l’amicizia tra i protagonisti. 

Serge è un personaggio piuttosto controverso: estremamente colto, ma anche volubile e permaloso, all’inizio sembra ricercare avidamente il commento altrui e la sfida intellettuale, in accordo con il suo amore per le novità e l’apertura mentale da lui ostentata; in realtà, però, confida nell’approvazione incondizionata da parte degli amici, tanto da risentirsi immediatamente in caso di critiche. 

Ad una prima occhiata Serge appare autenticamente appassionato di arte contemporanea; tuttavia, con il procedere della storia, sorge il dubbio che questo personaggio segua un copione, non solo letteralmente: si ha infatti l’impressione che egli desideri soprattutto un riconoscimento della propria appartenenza a una classe, sociale e culturale, e a quest’unico intento siano da ricondurre molte delle sue scelte (acquistare una tela, leggere un libro): forse, circondandosi materialmente di oggetti che, nella sua epoca, vengono considerati artistici e innovativi, egli pensa di dar prova di raffinatezza e buon gusto, così da essere inequivocabilmente identificato, almeno secondo lui, come “figlio del proprio tempo”. 

Anche in questo caso, sentiamo emergere una scomoda, ma opportuna considerazione su noi stessi: quanto di ciò che facciamo nella nostra vita è autentico, determinato dai nostri desideri e passioni, e quanto invece dalla smania di apparire affascinanti e degni di stima agli occhi degli altri? 

 

C’è infine Yvan (Enrico Pittalunga), mestamente avvilito per la piega presa dalla sua esistenza, ma che pare aver accettato l’insoddisfazione come un fattore imprescindibile della propria vita: una modesta carriera nell’industria tessile, seguita da un passaggio rapido, ma forzato, al ruolo di rappresentante di una cartoleria (imposto dalla famiglia della sua futura moglie); un matrimonio in arrivo, la cui programmazione lo stressa fino all’esasperazione. 

Nonostante l’espressione sconfitta e la parlata timorosa, risulta immediatamente chiaro che, per Yvan, ciò che è prioritario è mantenere la pace in tutti i rapporti della sua vita, talvolta anche a scapito della sua stessa dignità; egli arriva perfino a definire la tela bianca acquistata da Serge “un quadro che suscita emozioni”, sostenendo di vedere punte di rosso e blu laddove in realtà è presente esclusivamente bianco, al solo scopo di soddisfare Serge e contenere il dibattito nascente tra lui e Marc in proposito. 

Questo desiderio di tranquillità del personaggio si riflette tanto nella voce sommessa, che acquisisce toni sempre più nervosi man mano che la discussione volge verso il litigio, quanto nella tendenza a comportarsi da “folletto” nel contesto del gruppo, per far ridere gli amici, nonostante la profonda tristezza che lo pervade a causa dei propri insuccessi. 

Anche in questo caso, possiamo riconoscerci fin troppo bene nel tipo umano rappresentato da Yvan, che mente a fin di bene, a tratti appare come il migliore dei tre e certamente fa da collante al gruppo, ma al contempo sacrifica il suo coraggio e le sue idee, evitando di prendere posizione. Tutto pur di non mettere a rischio il delicato equilibrio del gruppo, che gli garantisce la pace. 

 

La tela bianca 

Il pretesto adoperato dall’autrice per illustrare gli intricati rapporti tra i protagonisti è una tela bianca, opera del famigerato pittore Antrios, che Serge ha acquistato impulsivamente per 50.000 euro. Egli invita gli amici a cui è più legato, prima Marc e poi Yvan, ad ammirare il suo acquisto e dargli le loro opinioni, ricevendo però riscontri ben diversi dalle reazioni entusiaste che si sarebbe aspettato: il cinico Marc, senza filtri, esplicita prima il suo divertimento, trovando inconcepibile la visione appassionata dell’amico e la spesa sconsiderata, per poi passare a un risentimento che scopriremo avere poco a che fare con il quadro; il timoroso Yvan, d’altro canto, dopo aver lasciato intuire in un dialogo privato con Marc le sue perplessità, ostenta un’esagerata approvazione di fronte a Serge, con l’obiettivo di compiacerlo e non compromettere i rapporti del trio. 

Ne scaturisce una discussione estenuante tra gli amici che si protrae nel tempo, avvelenando i successivi incontri e corrodendo sempre di più il loro legame, fino al momento della crisi: quello in cui i protagonisti capiscono che il problema reale non ha nulla a che fare con la tela, bensì dipende dalla complessità dei rapporti umani; ad incrinare la loro amicizia è infatti la nuova consapevolezza che è quasi impossibile accettare senza sforzo i propri amici, ed essere accettati da essi, per ciò che effettivamente si è, mettendo da parte aspettative, pregiudizi ed esigenze personali e convivendo pacificamente l’uno con i difetti dell’altro.  

 

La recitazione, le ombre, il gioco di luci su tela

I toni si mantengono concitati per tutta la durata dello spettacolo, garantendo ritmi frenetici sia durante le discussioni tra i personaggi, sia nelle fasi di introspezione, attraverso le quali ognuno dei protagonisti dialoga con sé stesso: all’inizio cercando disperatamente argomenti a sostegno della propria posizione, poi mettendo in dubbio alcuni aspetti di sé, e infine all’unico scopo di capire come salvare l’amicizia con gli altri membri del trio.  

Gli attori sono eccezionali nel mantenere toni opportunamente nevrotici, senza mai sfociare nell’incomprensibilità dei testi: si tratta di un’impostazione diversa dai classici dialoghi teatrali, ma estremamente efficace nell’accompagnare il pubblico attraverso un crescendo di emozioni, trasmettendo tutta la frustrazione e il dolore dell’incomunicabilità. 

La modalità di interazione tra i personaggi, e tra personaggi e spettatori, risulta ugualmente insolita, ma particolarmente opportuna: ognuno degli attori è sempre rivolto verso il pubblico, mai verso i compagni, sia in caso di riflessione introspettiva che di conversazione tra i protagonisti; anche gesti che normalmente implicherebbero un contatto fisico tra personaggi, sul palco, vengono effettuati a distanza. Queste peculiarità sono dovute, in parte, alle restrizioni imposte dalla pandemia nel periodo in cui sono state effettuate le prove per lo spettacolo; ciononostante, risultano particolarmente efficaci nel rimarcare l’isolamento e la distanza prodotti, all’interno della storia, dalle incomprensioni tra i protagonisti, amplificando la sensazione di solitudine. 

 

I giochi di luce accompagnano perfettamente la narrazione, armonizzandosi con i concetti che l’autrice intende trasmettere: quando si verifica una conversazione a cui uno dei tre protagonisti non partecipa, o è in corso una riflessione non udibile dagli altri, gli attori silenti non escono di scena, bensì si inattivano; girandosi di schiena, rimangono sul palcoscenico, muti e scarsamente illuminati, come fossero temporaneamente in stand by. Questa tecnica dà la sensazione che non siano del tutto assenti, ma che contribuiscano, pur non prendendovi attivamente parte, a modellare le riflessioni degli altri amici, indirizzandone pensieri e conversazioni. 

 

Infine, nella seconda metà dello spettacolo, il momento critico del litigio viene abilmente coniugato con uno strategico effetto di luci colorate che si stagliano sulla tela bianca: le ombre, proiettate dietro i tre amici, disegnano infatti cinque figure di diverso colore dietro ogni personaggio. Esse sembrano mettere in evidenza aspetti e personalità differenti che coesistono nello stesso individuo, a indicare che ognuno di noi è il risultato della sovrapposizione tra chi pensiamo di essere, chi realmente siamo e come ci mostriamo agli occhi del mondo, ma anche come gli altri ci percepiscono. 

In fin dei conti, il messaggio che Art delinea sulla sua tela è che, nonostante i nostri sforzi, ognuno vede il prossimo attraverso la lente delle proprie convinzioni. 

 

SAVE THE DATE! Calendario di RIFUGI – secondo tempo

(Ottobre 2021 – Gennaio 2022, Teatro Piccolo Orologio, Via J. E. Massenet, 23 Reggio Emilia) 

  • My Place (Silvia Gribaudi) – 16 Ottobre 2021 
  • Art (Generazione Disagio, Teatro della Tosse) – 30 Ottobre 2021 

Prossime date: 

  • Piccola Patria (CapoTrave-Kilowatt, Infinito) – 13 Novembre 2021 
  • Due passi sono (Carullo-Minasi) – 26 Novembre 2021 e 27 Novembre 2021 
  • Stelle Nere (MaMiMò, nuova produzione) – Dal 10 al 12 Dicembre e dal 16 al 22 Dic. 2021 
  • Voglio la luna (Fabio Spadoni) – 06 Gennaio 2022.  

A seguire: 

RIFUGI – terzo tempo (Gennaio 2021 – Aprile 2022, Teatro Piccolo Orologio), le cui date verranno comunicate prossimamente sul sito www.mamimo.it e i relativi canali social. 

Martina Suraci, Saverio Bulgarelli

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