È ora di aggiornare i vostri stereotipi su Lana del Rey

Sconforta constatare come lo stereotipo maggiormente diffuso su Lana del Rey sia ancora quello della “cantante depressa” di Born To Die, l’album che la proiettò nel firmamento della scena internazionale nell’ormai lontano 2012. “Lagna del rey”, vi stupirà sapere, nel frattempo è cresciuta; ed è cambiata almeno quanto le preadolescenti mogie che del suo hollywood sadcore si imbottivano l’mp3 senza dirlo troppo in giro, onde non risvegliare il critico musicale (perlopiù) dormiente nella directioner di turno.

Un aggiornamento, almeno, è dovuto. Se ieri era il tono umorale della cantante ad essere oggetto di critiche, oggi questo grossolano giudizio, dopo la svolta di Lust for Life (2017) ha un po’ le unghie spuntate. Dimessa quindi dalla clinica psichiatrica (in cui la si era confinata quando la salute mentale non era ancora instagram trendy), Lana del Rey non ha però potuto godere a lungo dei benefici della riabilitazione; alle vecchie maldicenze si sono sostituite le nuove, e in men che non si dica la cantante è tornata nell’occhio del ciclone.

Ebbene sì, gentili twittatori, Lana del Rey è diventata problematica: che la cancellation abbia inizio.

Le ultime annate, che hanno visto il boom dei social e delle piattaforme digitali, sono state particolarmente fruttuose in termini di incidenti comunicativi che hanno deciso le fortune alterne di molti VIP – oggi osannati, domani crocifissi dalla rete. Idealmente, una parte di quei professionisti che una volta si occupavano di gossip e scandali (come rivelarli, gonfiarli e, all’occorrenza, inventarli) ha preso la palla al balzo, ed oggi segue ogni movimento dell’opinione delle masse, che ha occhi dappertutto e non dorme mai, e ancora più raramente ritratta una propria sentenza.

Lana del Rey si è trovata a navigare le acque burrascose della “cancel culture” suo malgrado. All’inizio l’ha fatto inconsapevolmente; ma poi, al susseguirsi degli attacchi, ha preso una posizione abbastanza chiara, pur senza alzare i toni: ancora una volta in disarmonia col resto, pur di rimanere in armonia con se stessa.

Solo nell’ultimo anno la cantante ha collezionato diverse “controversie”, generando piccoli casi mediatici che hanno testato le rigidità e i limiti dell’ambiente nel quale un’artista come lei non può non operare.

Nel maggio scorso Lana ha pubblicato un post intitolato “Question for the culture”, rivolto genericamente alla music industry, nel quale rivendicava il proprio “diritto” ad esprimersi liberamente senza venire “crocifissa” per aver “glamorizzato gli abusi (nelle relazioni fra uomo e donna)”, difendendosi: “In reality I’m just a glamorous person singing about the realities of what we are all now seeing are very prevalent emotionally abusive relationships all over the world”.

Un post che snuda una riflessione personale sul femminismo e il modo in cui esso oggi persegue i propri principi: “With all the topics women are finally allowed to explore, I just want to say over the last ten years I think it’s pathetic that my minor lyrical exploration detailing my sometimes submissive or passive roles in my relationships has often made people say I’ve set women back hundreds of years”.

Sin dagli esordi la cantante è stata cronicamente accusata “antifemminismo”, per il fatto di presentare, a detta dei detrattori, un “modello” di femminilità non abbastanza forte e indipendente. Fa sorridere che a far innervosire questi critici paiano essere proprio la forza e l’indipendenza della Del Rey dal loro insindacabile giudizio.

Ebbene questo piccolo, personale manifesto per un “femminismo alternativo” da parte della Queen of Alternative music è stato immediatamente tacciato di razzismo, sulla base del cogente argomento per cui white Lana non avrebbe mai dovuto paragonare il proprio difficile rapporto con i critici e i media all’esperienza di colleghe black. La risposta di della Del Rey è suonata stanca e sfiduciata, dopo l’ennesima incomprensione: “… there are certain women that culture doesn’t want to have a voice. It may not have to do with race. I don’t know what it has to do with. I don’t care anymore but don’t ever, ever, ever, ever call me racist, because that is bull.”

Lo scoramento di quell’ “I don’t care anymore” lo si ritrova nel laconico tweet di risposta della cantante ad un articolo del Michigan Daily che, nel novembre del 2020, commentava il più recente polverone sollevato sui social contro di lei.

Ad un firmacopie in una libreria coi fans Lana era stata fotografata con indosso una mascherina fabbricata con quello che sembrava essere un tessuto bianco bucherellato, simile a una rete. L’accessorio aveva attirato immediatamente le ire del web, e “Lana negazionista del virus” era stata solertemente ricoperta di insulti da chiunque avesse dita per digitare.

… Com’è andata a finire? Il fatto non sussiste: “Great article. The mask had plastic on the inside. They’re commonly sewn in by stylists these days. I don’t generally respond to articles because I don’t care. But there ya go.”

L’ultima “bravata” risale a gennaio: dopo l’assalto a Capitol Hill, hanno sollevato polemiche le parole di Lana del Rey che, in un’intervista alla radio, ha affermato che secondo lei Trump non sapeva di stare incitando una rivolta. Anche qui, infallibilmente, una mezza insurrezione ha convinto Lana a intervenire via social per spiegare meglio il suo pensiero: “Trump è così gravemente compromesso che potrebbe non sapere cosa stava facendo a causa della sua significativa mancanza di empatia.”

Spiace per gli haters: è da quando l’hanno vista fidanzarsi con un ufficiale di polizia che aspettano l’occasione per costringerla a confessarsi republican.

La verità è che Lana vuole fare arte, non politica – o almeno, non è disposta a farsi coinvolgere nella seconda a scapito della prima. Lana del Rey è un’artista da capo a piedi, dalle unghie al midollo, e da ben prima che ci si inventasse una regola culturale secondo la quale gli artisti di successo dovrebbero farsi rappresentanti politici dei propri fans e non, pena la scomunica.

L’artista, si potrebbe sostenere, è giusto il contrario del politico, perché è l’apoteosi dell’individuo. L’artista deve poter essere libero e più umano di noi, non meno; ciò implica che gli sia permesso di rivelare anche l’oscurità, le ambiguità, i difetti degli esseri umani, che curiosamente oggi sembrano meglio accetti in Parlamento che su un palco, o nel testo di una canzone.

Personalmente non ritengo Lana del Rey esente da difetti, anzi. Potrei enumerarveli: è una pessima performer, la sua poesia (l’anno scorso è uscita la sua prima raccolta Violet Bent Backwards Over the Grass) non è minimamente all’altezza della sua produzione musicale, ed in generale diventa poco relatable quando vira sul religioso (tutta colpa di una laurea in metafisica all’università dei gesuiti di New York). Altri ne disprezzerebbero l’aspetto fisico: i segni evidenti della chirurgia estetica, la corporatura normale, non “fit”, senza le curve perfette che tutte le star rincorrono.

Ma i difetti di un artista sono un valore aggiunto. Fanno parte del suo messaggio, danno credibilità al suo racconto.

E’ intelligente e coraggioso da parte di Lana il tentativo di sottrarsi alle polarizzazioni del proprio tempo, di restituire senza semplificazioni la complessità del reale, rifiutandosi di disconoscere le ambiguità del proprio vissuto.

E’ ora di aggiornare i vostri stereotipi su Lana del Rey, dicevo in apertura; ma, solo se ve la sentite, è a maggior ragione venuto il momento di metterli da parte e concedervi un assaggio della sua arte.

Proprio domani, 19 marzo, guarda caso esce Chemtrails Over The Country Club, il suo settimo album in studio.

Questo articolo ha umilmente tentato di liberarvi dai pregiudizi che più o meno consapevolmente nutrivate nei suoi confronti.

Adesso, come direbbe Lana, si lasci parlare la musica.

 

 

Yermak

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