Orgoglio e pregiudizio.

“La libertà consiste nel fare tutto ciò che non nuoce ad altri”. Riporta questo la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, un documento chiave concepito dallo spirito della rivoluzione francese e che per un lungo periodo ha rappresentato un modello da imitare per le future costituzioni europee. Ora, questa affermazione è indiscutibilmente vera e facilmente condivisibile, talmente banale da sembrare scontata: chi mai potrebbe giudicare negativamente una persona che non ha nuociuto in nessun modo al prossimo?

Ebbene, è comune credenza che ai nostri tempi il suddetto concetto venga sempre ribadito e rispettato, com’è giusto – e ovvio – che sia. Come spesso accade, però, la realtà è molto meno idilliaca e lineare delle aspettative: di fatti, purtroppo, nonostante non si stia facendo nulla di male, non è raro incorrere nelle critiche spietate di chi, in maniera moralmente illegittima, si attribuisce il diritto di formulare giudizi.

Oggi, in Italia, se due uomini o due donne si amano di certo non devono giustificarsi dinnanzi alla legge – a differenza di ciò che accade tuttora in molti paesi del mondo, lontani da qualsiasi forma di occidentalizzazione, ove si considera l’omosessualità un reato – ma potrebbero essere costretti a scontrarsi con una mentalità tante volte intollerante. Potrebbe stupire accorgersi che questa visione chiusa non è propria soltanto di frange circoscritte della società, ma ha fatto capolino in diverse occasioni in una realtà a noi molto più vicina.

Da sempre, la Chiesa è risaputa essere avversa all’omosessualità, tanto da etichettarla e ridurla, nell’opinione comune, ad una mera e superficiale attrazione fisica. Ovviamente non tutti gli ecclesiastici condividono tali opinioni ostili: ad esempio nel 2019 i vescovi tedeschi radunati alla conferenza episcopale di Berlino hanno definito l’omosessualità in termini molto aperti e concilianti, diversamente da quanto invece espresso ne “Il catechismo della Chiesa cattolica”. In questo caso la si esprime invece con la connotazione di un “atto intrinsecamente disordinato” , “basato su una attrattiva sessuale ” – e non viene quindi preso in considerazione alcun trasporto affettivo – , “presentato dalle Sacre scritture come una grave depravazione” e che “non può essere in alcun modo approvato”. È curioso come la Chiesa si dimostri tanto accondiscendente e disposta al perdono nei confronti di chi addirittura ha commesso dei reati, mentre mostra invece disdegno verso coloro che hanno l’unica “colpa” di amare una persona del medesimo sesso.

Non si creda che nello spettro religioso il cattolicesimo sia il solo a condurre questa linea di pensiero: ad esempio il diritto islamico radicale non si limita ad enunciare considerazioni severe nei confronti dell’amore omosessuale – il che sarebbe già abbastanza grave di per sé – ma prevede procedure penali che culminano financo con la condanna a morte. In paesi quali Arabia Saudita, Nigeria settentrionale (nella zona meridionale si ricorre comunque alla detenzione), Iran e altri continuano ad avvenire queste agghiaccianti procedure.

In Europa, lontani da tali terrificanti repressioni, si tende sempre di più ad attribuire alle coppie omosessuali i medesimi diritti di quelle eterosessuali; l’Italia però, diversamente dalla maggioranza degli Stati limitrofi, pare essere restia a compiere

significativi passi in avanti. Anche a causa dell’influenza della Chiesa, guarda caso molto contrariata in merito, ad oggi nel nostro paese una coppia dello stesso genere che desidera sposarsi è semplicemente impossibilitata a farlo. Nel 2016 è stato introdotto il “contentino” delle unioni civili; all’epoca questa legge è stata accolta con entusiasmo, poiché rappresentava un discreto progresso, ma in realtà le differenze con il matrimonio persistono e mettono in luce il fatto che queste unioni siano considerate comunque di serie B. Non sono espressi infatti né l’obbligo di fedeltà né quello di collaborazione, non avviene un rito di celebrazione ed è molto più facile sciogliere il legame in caso di separazione… e soprattutto, alle coppie unite civilmente non è consentita l’adozione.

L’omogenitorialità nel nostro paese non è regolata da nessuna normativa, e non essendo in senso stretto proibita può essere approvata solo dal libero arbitrio del giudice; il compito di quest’ultimo è di emanare una sentenza dopo aver esaminato il singolo caso propostogli, tenendo in considerazione che, poiché lo stato italiano non riconosce la genitorialità ad entrambi i membri della coppia, essa sarà formalmente assegnata a soltanto uno dei due componenti. Insomma, ogni volta potrebbe andare a buon fine oppure no, ma siccome si preferisce affidare un bambino a una coppia piuttosto che a un singolo genitore e in un contesto in cui le adozioni gay continuano ad essere largamente criticate, per due uomini o donne innamorati diventare papà o mamme resta un sogno difficile da realizzare.

La lotta per permettere tale possibilità non rende partecipi molti cittadini neppure a livello globale – solo 27 paesi al mondo sono favorevoli – e resta un argomento apolitico in quanto persone appartenenti al medesimo schieramento possono sostenere idee divergenti in merito.

Classicamente la maggior parte di coloro che sono contrari sostiene che ogni bambino abbia il diritto di avere una madre e un padre; spesso però gli stessi che si avvalgono di tale argomentazione non sono contrari al divorzio. È chiaro a tutti che i figli di coppie separate trascorrono la stragrande maggioranza del tempo vivendo accanto ad un genitore soltanto, e magari incontrano l’altro giusto per qualche ora al fine settimana. Ben inteso, sappiamo tutti che il divorzio è tante volte una vera benedizione; ma se costoro fossero coerenti nel sostenere la sopracitata legittimità, dovrebbero allora reputarlo una pratica da attuare solo in alcuni casi e per validissimi e incontestabili motivi. A maggior ragione vale lo stesso per chi è poco presente in famiglia perché alla ricerca di successo nella sua carriera e finisce per spendere con i suoi figli le poche ore libere da convegni, riunioni straordinarie e così via.

Non solo: è opinione comune reputare – a ragione – nobile e toccante che una coppia di parenti, anche dello stesso sesso, magari due zii o zie, allevino il nipote a cui sono venuti a mancare i genitori. E allora perché al contrario sono viste con astio le famiglie con due padri o due madri? Chi ne è sfavorevole cade in contraddizione: in entrambi i casi il bambino cresce con figure di riferimento dello stesso genere, viene allevato con amore ed ogni possibile riguardo. L’unica vera differenza fra le due situazioni è che nella seconda circostanza i genitori si amano: chi dice un secco no alle adozioni gay allora è probabilmente prevenuto dall’omosessualità in sé e dimostra quindi di appellarsi a un senso di avversione personale, non alla presenza di una condizione già esistente e approvata in altri casi.

Allora ci si potrebbe chiedere il perché di tanta illogica ostilità; in alcuni casi essa è fine a se stessa, priva di qualsiasi argomentazione e frutto di un’irremovibile e prevenuta impostazione omofoba. Siccome discriminare è reato, e tale linea di pensiero è del tutto irrazionale e immotivata, non vale nemmeno la pena cercare di far ragionare chi è accecato dalla propria ottusità e che è palesemente nel torto. Altri sostengono che l’essere cresciuti da genitori omosessuali potrebbe portare ad una sorta di condizionamento inconsapevole nei confronti della sessualità del figlio. Pur non avendo nulla in contrario all’orientamento sentimentale dei genitori, costoro ritengono comunque che sia sbagliato subirne un’influenza. Poniamo allora il caso opposto, in cui la coppia in questione è eterosessuale: la loro prole seguirà automaticamente l’inclinazione dei genitori? Certo che no: altrimenti sarebbe impossibile che un omosessuale avesse una madre ed un padre. Questo implica pertanto che non ci sia una suggestione da parte della famiglia e che le propensioni di ognuno siano intrinseche alla propria persona. Potrebbe quindi darsi che il figlio di mamme o papà che si amano si innamori di una persona del suo sesso, non per un presunto indirizzamento forzato, ma perché immanente alla sua natura.

I bambini che soffrono negli orfanotrofi sono migliaia, in attesa di ricevere l’affetto che meritano da genitori che li amino, e di essere avvolti, in tanti casi per la prima volta nella loro vita, dal calore di una famiglia, o se ancora in fasce di avere una figura stabile che sia lì per loro, un punto di riferimento che possano identificare come genitore. C’è sempre chi, incurante del loro cuore sconfortato, pronuncia sentenze come “Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso”, proferita da Željka Markić, presidente e fondatrice dell’associazione croata “Per conto della famiglia”. Si ragiona spesso nell’ottica di “lasciare stare i bambini”: anche chi non ha nulla in contrario alle coppie gay – seppur questo non sia il caso della suddetta signora – pensa a volte che affidare loro un figlio sia eccessivo, poiché per quest’ultimo rappresenterebbe una fonte di grande malessere. Eppure altre persone, come Hope, Newyorkese e cresciuta da due papà (e quindi, in quanto diretta interessata, l’unica avente davvero il diritto di parlarne a riguardo) direbbero il contrario. “Non mi sentivo da meno rispetto agli altri”, dichiara la ragazza, “Mi è capitato di farmi domande sulla mia famiglia biologica, sulla mia mamma biologica in particolare, ma non penso di aver sofferto poi così tanto per la sua mancanza. Credo che i miei genitori abbiano fatto un lavoro stupendo aiutandomi a crescere come una donna forte…”

Anche Zach, che vive in Iowa con le sue due madri sostiene “La parola d’ordine per descrivere la nostra famiglia non è famiglia LGBT, ma famiglia”.

Questi sono solo alcuni esempi. La verità è che non si coinvolgono mai gli unici che potrebbero dare un parere oggettivo frutto dell’esperienza, ma ci si continua a fondare sull’opinione di terzi che, immaginandosi una loro personale ed erronea visione della effettiva realtà di queste famiglie, seguitano a speculare.

Insomma, con il loro contributo viene negata contemporaneamente la gioia sia a due aspiranti genitori che avrebbero dell’amore da donare sia ad un bambino che di certo non è esattamente felice della sua sconsolata situazione. È difficile pensare che abbiano davvero a cuore l’interesse di quest’ultimo, mentre è meno improbabile credere che abbia il sopravvento il legame con una morale datata tale per cui il concetto di famiglia deve restare univoco.

Secondo uno studio condotto dal Research Institute of Child Development and Education dell’UvA in collaborazione con il Williams Institute dell’Università della California così come un altro pubblicato ne The medical journal of Australia, il solo incomodo a cui eventualmente potrebbero essere esposti i piccoli adottati non è derivante dal rapporto con i genitori, bensì dalle considerazioni poco tolleranti nei confronti della loro famiglia. Questo significa che chi è convinto che il problema siano i genitori dello stesso sesso non solo si sbaglia, ma è egli stesso il problema. Chi lancia un’occhiataccia, chi ferisce con un commento, convinto di essere “dalla parte di questi bambini” in realtà sta facendo il loro male, perché ciò che mette a disagio non è ricevere affetto dai propri papà o mamme a cui si vuole bene, ma accorgersi che questi vengono giudicati con tanto cinismo. Un pregiudizio che confonde con qualcosa di innaturale e negativo quello che è uno dei sentimenti più profondi che un essere umano possa provare: l’amore puro ed immenso dei genitori, di qualunque coppia di genitori, per i propri figli.

Cecilia Orlandi

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