New York attraverso gli occhiali di Fran Lebowitz

Ogni volta che mi imbatto in fotografie di Fran Lebowitz, comica e scrittrice statunitense, mi si affaccia sempre la stessa immagine: sembra una zia molto cool, single per scelta, che può viaggiare e permettersi ogni suo capriccio senza dover renderne conto a nessuno. Una donna sicura di sé priva di doveri improrogabili e vestita come un dandy moderno, con un Je ne sais quoi alla Oscar
Wilde. In realtà Fran Lebowitz non ama lasciare la città che l’ha vista crescere in tutti i sensi. Nella nuova serie Netflix “Pretend it’s a city” voluta da Martin Scorsese, suo grande amico della prima ora, in sette puntate stile podcast, la poliedrica Lebowitz racconta con ironia ogni singolo aspetto della Grande Mela. E precisa perché non sia interessata a viaggiare: ci si rilassa di più a
casa!
Non soltanto i lati più scenografici della Big City americana, anche quelli più oscuri vengono vagliati e rivalutati dalla lingua tagliente di Fran, accompagnata dalle risate sardoniche del regista. E mentre cammina tra la riproduzione esatta in miniatura della penisola newyorkese, con la sua voce cavernosa (consiglio di guardare la serie in lingua originale), narra la città dal suo punto di
vista unico e personale.
Fran prova per la sua città un amore strano, alquanto inusuale. Un amore a dir poco vendicativo ma anche platonicamente romantico per il luogo che la tiene ancorata a sé da oltre quarant’anni.
Riassume questo concetto con un episodio che le è accaduto qualche tempo fa: viveva da anni in un bellissimo palazzo antico che le dava tantissimi problemi di ristrutturazione. Ogni volta che gli amici le chiedevano insistentemente perché ancora non si fosse decisa a trasferirsi altrove, lei rispondeva che il suo rapporto con la sua dimora era come l’amore per un ragazzo che ti fa soffrire ma è troppo bello per lasciarlo. Così Fran vede New York, la città del suo cuore. Lebowitz è una delle ultime testimoni del cambiamento della Big City. C’era negli anni ’70 appena ventenne quando iniziò a muovere i primi passi nel mondo del giornalismo e c’era negli anni ‘80/’90, nel pieno della sua carriera quando impose la sua visione del mondo sulla cultura americana. Nel docu-film diretto da Martin Scorsese Fran si permette di essere tremendamente autoironica. Tira fuori dal baule della sua memoria ricordi della sua infanzia, di quando studiava in una scuola ebraica. Un giorno, appena tornata dalle lezioni, stava leggendo un libro quando questo le scivolò e cadde per terra. Lei lo raccolse e gli diede un bacio sulla copertina prima di riprendere a leggere. Sua madre, che aveva assistito a tutta la scena, le chiese il perché del bacio e la piccola Fran, senza esitazioni, disse che alla Sinagoga le avevano insegnato che bisognava baciare i libri quando cadevano per terra. La madre, accigliata, le rispose:” Sì, ma non vale per ogni libro, solo per la
Torah!”.
Nella mini-serie, inoltre, Fran spiega la leggenda dietro alla sua celeberrima frase “Think before you speak, read before you think”, un motto fin troppo blasonato su magliette, tazze e magneti da frigo. In realtà quella breve frase fa parte di uno spezzone ben più lungo di un articolo scritto dalla Lebowitz negli anni ’70 per una rivista destinata ai giovani.
Tralasciando queste piccole curiosità disseminate qua e là, i 30 minuti destinati ad ogni puntata sembrano un’autentica conversazione tra amici coetanei che condividono speranze e ricordi del loro passato.
Entrambi i protagonisti della serie mettono subito in chiaro il messaggio del docu-film: non c’è nessun messaggio effettivo che vogliono lanciare. Fran non aspetta un’approvazione da parte degli spettatori. Vuole soltanto mostrare come la pensa su svariati argomenti di dibattito pubblico, mentre Martin Scorsese sembra voler semplicemente mostrare orgoglioso la mente brillante della sua burbera ma unica, amica speciale.

Di Elisa Cavini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *