SILENA: UN PADRE

PARTE TRE

UN PADRE

Riuscirono a metterla a letto solo venti minuti più tardi quando il sedativo che Joseph le aveva iniettato nel braccio cominciò a fare effetto. All’inizio Lucilla sembrò non accorgersene, ancora impegnata ad inveire a gran voce e a maledire Julien, poi le urla diminuirono, gli scatti si fecero meno rabbiosi e il suo corpo meno rigido finché non si accasciò tra le braccia del marito.  

In silenzio, Laura diede una mano a trasportarla al piano di sopra dove la misero a letto, assicurandosi che fosse davvero addormentata. Per sicurezza aprirono anche la finestra per far circolare l’aria e Joseph preparò sul comodino un bicchiere d’acqua e un paio di pillole colorate. 

<< Per il mal di testa.>> si era giustificato senza osare guardare negli occhi la psicologa.

Laura preferì distogliere lo sguardo, senza aprire bocca.

I suoi pensieri sembravano cavalli a briglie sciolte, correvano, si scontravano tra di loro, senza mai fermarsi. Tuttavia, poi, finivano per convergere in un unico punto: Julien. Dov’era? Stava bene? Da quanto tempo era oggetto dell’odio e dell’ira della madre? Che cosa stava passando quel bambino che Rosalie non era stata in grado di notare? 

Aveva dato un’occhiata ai suoi appunti, prima di ottenere il permesso per occuparsi di Julien, ma non era riuscita a farsi un’idea completa e profonda. Quasi tutte le pagine dell’agenda erano ricoperte dalle stesse frasi semplici, secche e quasi prive di ogni emozione: “ Silenzioso. I disegni non rivelano molto della sua infanzia. Rifiuta qualsiasi contatto… Non metabolizzato.”

Parlava di lui come un robot, come un oggetto che non aveva superato l’incidente della sorella. Eppure,  lei prima, ci era riuscita. Lo aveva fatto parlare, lo aveva ascoltato e aveva potuto azzardare un contatto fisico. Aveva letto le sue emozioni negli occhi spaventati. Aveva capito ciò di cui aveva bisogno: un’amica, qualcuno con cui parlare. E per un fugace secondo, lo era diventata. 

E poi… era precipitato tutto.

Senza volere Il suo sguardo si spostò sulla donna addormentata e sul suo viso si dipinse un’espressione indagatrice. Che cosa succedeva in quella casa che lei ancora non sapeva?

Joseph se ne accorse e sembrò quasi leggerle nel pensiero.

<< Le assicuro che non è cattiva …>> farfugliò con la voce flebile.

Laura si girò verso di lui. Nel frattempo, si era seduto sulla moquette  marrone, schiena contro il muro e la testa tra le mani. Lo vide stanco, addolorato, privo di forze. 

Le fece pena: era solo un povero uomo con un peso troppo grande sulle spalle e vittima di un amore che lo logorava giorno dopo giorno.

<< No certo che no … >> mormorò << Ma concorderà anche lei che… l’episodio di oggi avrebbe potuto essere fatale per vostro figlio  …>>

Joseph sollevò di scatto la testa << È malata! Non lo fa apposta! >> la interruppe, gli occhi fuori dalle orbite << Le hanno diagnosticato alcuni disturbi …>

Laura si fece immediatamente più attenta. Lo aveva sospettato.

<< Può fornirmi indicazioni maggiori?>>

L’uomo tornò ad abbandonarsi contro la parete. Parve svuotato d’un colpo.

<< No … cioè non lo so. Ha le allucinazioni e sente le voci.>> replicò debolmente.

<< Comprendo. Beh … le stia vicino. Ora vado a cercare Julien.>

Senza attendere riposta infilò la porta, scese le scale e si diresse verso la cucina per recuperare le sue cose. L’occhio le cadde sulla sedia capovolta.

La scena di prima le offuscò la mente e le sue orecchie fischiarono. Ricordava ogni singola parola, ogni singolo gesto. L’assenza del bambino era assordante. Dove precedentemente c’erano le urla e I singhiozzi, ora c’era solo un silenzio glaciale e pesante come una tonnellata.

Inconsciamente, si trovò a pregare che Julien stesse bene.

Fu in quel momento che udì un concitato scalpiccio alle sue spalle e qualcuno le strinse la spalla.

Si voltò di scatto, trovandosi di fronte al volto angosciato di Joseph.

<< Informerà le autorità vero? Di quello che è successo.>>

Laura si allontanò lentamente e sollevò le spalle << Devo fare il mio lavoro … >> La voce le uscì più tremante e insicura di quanto avrebbe voluto e il padre di Julien se ne accorse.

<< La prego … ci toglieranno l’affidamento! Lucilla non è cattiva, non gli avrebbe mai fatto del male. È sua mamma!>>

<< Io … >>

Joseph le afferrò le mani e le strinse in un atteggiamento supplichevole << Lo faccia dormire da lei stanotte! La prego. Faccia quello che vuole, ma non ci tolga l’affidamento. Abbiamo già perso una figlia. La prego! Le assicuro che quello che è successo oggi è stato solo un episodio isolato. Non si ripeterà.>>

Laura sospirò e con delicatezza si sciolse dalla presa << Ci proverò … >>

Non riuscì però  a sostenere  lo sguardo di gratitudine che l’uomo le rivolse. La bugia che aveva appena detto era troppo grande perché passasse inosservata.

Joseph ritornò a passo pesante nella stanza. Senza degnare di uno sguardo la moglie, si rifugiò in bagno chiudendo la porta a chiave.

Si appoggiò al lavandino e liberò un grosso sospiro tremulo. 

Non ce la faceva più.

Prima il congedo dall’esercito, a causa della nevrosi traumatica da guerra, poi l’incidente di Silena e infine questo.

Anche se a dire il vero, Lucilla stava male già da prima. Da quanto si erano sposati, Joseph aveva notato piccole stranezze a cui però non aveva dato peso. Non si era mai reso conto che sua moglie aveva bisogno d’aiuto. Che I suoi sorrisi tirati erano suppliche d’aiuto. Se ne era sempre andato, lasciandola sola, e ora ne pagava le conseguenze. Lucilla aveva amato troppo, ma senza la forza necessaria per sostenerlo a lungo quell’amore.

Si chiese però quando era peggiorata. Forse quando I loro vicini, la coppietta anziana che aveva accudito Julien e Silena quando I genitori non c’erano e che aveva abitato di fronte loro, erano morti soffocati. Non si erano accorti di aver lasciato il gas aperto, o forse lo avevano fatto apposta, poco prima di andare a letto. Se ne erano andai in silenzio, avvinghiati In un ultimo abbraccio d’amore. 

Lucilla non l’aveva mai superata. Così come per I loro figli erano stati dei nonni, per lei erano stati dei genitori. La sostituzione perfetta di quelli biologici che l’avevano abbandonata in un orfanatrofio all’età di sei mesi.

O forse quando lui, Joseph, suo marito, l’uomo che avrebbe dovuto starle vicino, era stato mandato in Afghanistan in una missione apparentemente senza speranze.

Avvertì le prime lacrime pungergli gli occhi, ma non le cacciò indietro come tutte le altre volte. Le lasciò cadere e con esse abbandonò anche la maschera dell’uomo forte e coraggioso.

Lo vide In quel momento: il bicchiere di vino ancora pieno, poggiato sul lavandino. 

E capì che, nonostante la promessa, Lucilla non aveva ancora smesso di bere. Aveva iniziato dopo la nascita di Julien, ma Joseph era certo di essere riuscito a farle cambiare idea.

Sollevò il viso e si guardò nello specchio. Osservò il suo riflesso e comprese anche di chi era la colpa: sua, solo e unicamente sua. Lui che non c’era mai stato, lui che aveva creduto che bastassero I ricordi e l’amore per tenere unita una famiglia. Che fosse sufficiente essere positivi e forti. E invece ora si trovava ad avere una moglie imbottita di psicofarmaci, una figlia in bilico tra la vita e la morte e un figlio disperso chissà dove.

Le lacrime si fecero più copiose.

Era solo colpa sua. Aveva fallito come soldato, come marito e ora come padre. 

Con urlo di frustrazione e rabbia afferrò il bicchiere e lo scagliò contro lo specchio.

 

La storia continua …

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