Hikikomori: la vita in una stanza

Hikikomori, termine giapponese coniato dallo psichiatra Tamaki Saito, deriva dalle parole hiku (tirare) e komoru (ritirarsi) e letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”.

Vengono definiti hikikomori gli individui che scelgono consapevolmente di ritirarsi dalla vita sociale e di vivere in parziale o addirittura totale isolamento, escludendo il mondo esterno e le altre persone per lunghi periodi di tempo. Confinati all’interno della propria camera da letto, essi evitano i contatti diretti con la realtà arrivando a rifiutare soprattutto le relazioni interpersonali, anche quelle con la propria famiglia.

Questo fenomeno è stato documentato per la prima volta in Giappone e, al momento, i casi accertati all’interno di questo paese sono circa 500.000 ma è probabile che questa cifra sia inferiore rispetto al numero reale dei soggetti, in quanto non tutti gli hikikomori sono stati registrati.

Il fatto che siano stati certificati diversi casi di hikikomori anche nei paesi europei, dimostra che non si tratta né di un fenomeno sociale proprio solamente del Giappone né di una sindrome culturale circoscritta ma di un vero e proprio disagio giovanile diffuso in molti paesi, soprattutto in quelli economicamente sviluppati.

Questa condizione non deve essere confusa né con la dipendenza da videogiochi, né con la depressione, né con i comuni disturbi d’ansia poiché anche se i soggetti presentano spesso sintomi simili alle problematiche appena citate, la loro è una situazione particolare che deve essere analizzata nella sua complessità.

Si tratta generalmente di giovani di sesso maschile tra i 14 e i 30 anni. Infatti, sono i ragazzi gli individui più esposti alle pressioni esercitate dalla comunità. La società contemporanea, soprattutto quella giapponese, si basa su due concetti principali: l’apparenza e il successo. Per essere accettati dagli altri individui, quindi, è necessario apparire in modo conforme agli stereotipi e raggiungere gli obiettivi da essa imposti. I giovani vengono quindi spinti costantemente verso il successo personale e l’autorealizzazione. Obiettivi nobili ma solo fino a quando questi due elementi non si trasformano in ossessioni. Il rischio, altrimenti, è che chi non riesce a tenere il passo imposto dal sistema e a fare i conti con il giudizio negativo della società, finisca con l’uscirne del tutto.

Le persone caratterialmente più forti sono spinte da questo tipo di mentalità basata sulla competizione a fare sempre meglio, a spingersi al di là dei propri limiti e a tentare di superare non solo gli altri ma addirittura se stessi. Ma come reagiscono quelle maggiormente sensibili a questo stile di vita?

Come possiamo notare dall’osservazione della cifra decisamente preoccupante, relativa alla quantità di hikikomori presenti in Giappone, un numero esorbitante di persone è disposto ad escludersi “volontariamente” dalla società pur di non subire l’umiliazione di non essere riuscito a raggiungere gli obiettivi imposti. Si tratta di un meccanismo di difesa che viene messo in atto nel tentativo di proteggere sé stessi dal giudizio degli altri.

Essendo però l’uomo, per natura, un individuo che tende alla socializzazione e che sente il bisogno di instaurare dei rapporti interpersonali, questa condizione può risultare davvero alienante.

Solitamente, la chiusura degli hikikomori nei confronti del mondo esterno non avviene in modo netto ma, al contrario, comincia gradualmente con le assenze a livello scolastico. La scuola è infatti il principale luogo di socializzazione per quanto riguarda i giovani. Altri segnali relativi all’inizio di questo fenomeno sono l’inversione del ritmo sonno-veglia, l’autoreclusione temporanea nella propria camera da letto e la preferenza per attività di tipo solitario.

Possiamo quindi affermare che la stanza all’interno della quale il soggetto decide di vivere può inizialmente rappresentare un luogo sicuro, una sorta di nido, finendo con il trasformarsi in una prigione in quanto l’individuo diventa incapace di abbandonarla.

Come vivono, quindi, gli hikikomori? Essi trascorrono le giornate all’interno della propria camera e, al contrario di quello che si può pensare, non sempre passano il loro tempo a fissare il soffitto. Al contrario, essi si dedicano a diverse attività artistiche o tecnologiche a seconda della loro personalità, come leggere, guardare film, disegnare, giocare ai videogiochi o navigare su internet. Ovviamente non c’è nulla di sbagliato nel coltivare alcuni interessi in solitudine. L’errore deve quindi essere ritrovato nella quantità di tempo che gli hikikomori dedicano alle mansioni di tipo solitario e nel fatto che esse rappresentano non delle vere e proprie passioni ma una via di fuga, una modalità per escludere tutto il resto.

Per esempio, attribuire la colpa di questo fenomeno alle nuove tecnologie è completamente sbagliato poiché esse non rappresentano per i soggetti la causa del disagio ma solamente una scappatoia, un mondo alternativo nel quale rinchiudersi, una realtà che non giudica, non mette costantemente alla prova e non tenta di modificare o annientare la personalità degli individui. Il web rappresenta, anzi, una ricchezza in quanto è l’unico modo che gli hikikomori hanno a disposizione per instaurare e mantenere relazioni interpersonali.

Alcuni potrebbero affermare che, in realtà, gli hikikomori in quanto tali non esistono ma sono solamente persone pigre che non hanno voglia di concludere nulla nella propria vita. Ovviamente, ricondurre questo fenomeno così complesso alla pigrizia è riduttivo. Nessuno può sapere che cosa prova con precisione una persona che decide di vivere all’interno di quattro mura e che non ha più nemmeno la forza di fare un passo fuori dalla porta della propria stanza ma è evidente che dietro questa scelta esiste un mondo, un universo fatto di sofferenza, di disagio, di delusione, di vergogna, di paura e di altri sentimenti negativi che spingono l’individuo ad autoescludersi.

Al fine di diffondere il fenomeno legato agli hikikomori, la cultura giapponese utilizza spesso questa figura negli anime, nei film e nei manga. Una delle opere più significative è Welcome to the NHK, un romanzo scritto da Tatsuhiko Takimoto poi trasposto in manga e anime, basato sulle vicende di Tatsuhiro Sato, un hikikomori che tenta di uscire mediante l’aiuto di una ragazza, dalla propria condizione.

Un altro esempio relativo alla rappresentazione cinematografica degli hikikomori è il film Castaway on the moon, diretto da Lee Hae-jun. La protagonista è una ragazza hikikomori che utilizza internet e una macchina fotografica dotata di teleobiettivo per avere contatti con il mondo esterno e per osservarlo.

Fare luce su questa problematica per permettere alle persone di comprendere le cause di questo fenomeno è fondamentale. Infatti, a mio parere, la scelta di vita degli hikikomori è solitamente una reazione alla società e, per questa ragione, non è giusto che restino invisibili e che siano abbandonati a loro stessi.

Ovviamente, nessuno può essere aiutato contro la sua volontà e, come in ogni situazione di disagio o dipendenza, la persona che soffre è la prima a dover lottare per uscire dalla propria condizione e risolvere i problemi ma, allo stesso tempo, salvarsi da soli è molto difficile.

 

Francesca Stanzani

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