JoJo rabbit: ricordare in un modo nuovo, per un mondo nuovo

Lo scorso 27 gennaio è ricorsa la 15esima Giornata della Memoria: tra la sessione invernale e le elezioni regionali è passata quasi inosservata. Pensandoci bene, capita spesso che il significato di questa ricorrenza sia oscurato da qualcos’altro. Sembra che sia difficile rispettare questa giornata a meno che non si manifesti un’occasione provvidenziale. Io ricordo una volta in particolare in cui mi è capitato: ero alle elementari e la maestra ci portò a vedere l’appena uscito Il bambino con il pigiama a righe (2008, di M. Herman). 1 ora e 34 minuti di angoscia. Non che il film fosse brutto, anzi, ma per un bimbo di neanche dieci anni fu un’esperienza abbastanza difficile. I temi trattati e la crudità utilizzata fanno rabbrividire nel profondo. Ed è giusto che sia così: in fondo l’obiettivo del film è proprio quello di stimolare una riflessione su quelle atrocità.

Negli anni non è stato né il primo né l’ultimo film di questo tipo: altri esempi sono Conspiracy – Soluzione finale (2001, di F. Pierson), Ogni cosa è illuminata (2005, di J. S. Foer), Il labirinto del silenzio(2014, di G. Ricciarelli), e come non citare Schindler’s list(1993, di S. Spielberg). Esistono talmente tanti film su questo argomento che si potrebbero raggruppare come un vero e proprio genere. Tutti questi film, per quanto differenti nei modi di trattare l’argomento e nelle storie raccontate, sembrano condividere tutti almeno il tono generale: tetro e dolente, sicuramente appropriato ed efficace nel ricordare questi eventi terribili ma che, secondo me, appesantisce la Memoria facendola diventare quasi uno spiacevole onere. Poniamo di voler vedere uno di questi film piuttosto che un thriller d’azione o una commedia, e di dover convincere qualcun altro a farlo con noi. Sembra una missione semplice?

Per questo penso sia interessante esaminare un film che riesce a ricordare l’Olocausto in modo diverso. Sto parlando di Jojo Rabbit(2019, di Taika Waititi, regista e sceneggiatore neozelandese che ha raggiunto la fama internazionale grazie a Thor: Ragnaroknel 2017). Il film è liberamente tratto dal romanzo Come semi d’autunnodi C. Leunens. Fondamentale il “liberamente” in questo caso, poiché il film ha di fatto trasformato un romanzo drammatico in una commedia. Ed è proprio questa la mossa, molto azzardata e a mio parere vincente, che lo distingue da ogni altro film sulla Memoria. Serve sfacciataggine anche solo a pensare di inserire in una storia di questo genere gag e battute divertenti. Ma le parti comiche sono sempre trattate con grande delicatezza e riguardo, e non come inutili dissacrazioni offensive. Un esempio: Il protagonista si chiama Johannes, ha dieci anni, ed è indottrinato fino al midollo con ideali nazisti. Questi sono incorporati nel suo amico immaginario, una versione fiabesca e bonaria del suo “mito” Adolf Hitler, interpretato dallo stesso Waititi, abituato a mettersi da entrambe le parti della macchina da presa. Inutile dire che il regista-attore utilizza al massimo il potenziale comico del suo ruolo. È proprio nel modo in cui la sceneggiatura riesce a danzare con leggerezza su temi che sono veri e propri campi minati, che sta la virtù di questa pellicola.

Per quanto riguarda la regia, c’è un utilizzo dei colori atipico per un film su questo argomento: accesi come in Ragnarok e caratterizzanti i singoli personaggi come nei film di Wes Anderson. La fotografia ricorda anch’essa le opere di quest’ultimo, con inquadrature precise e quasi geometriche.

Ma i momenti drammatici non mancano. La guerra, lo sterminio degli ebrei e la persecuzione verso i dissidenti sono i motori della storia. Il fatto che il film sia una commedia non toglie potenza a questi drammi. Anzi, l’orrore di queste tragedie è evidenziato dalla giustapposizione con le parti comiche. Come in un dipinto impressionista le pennellate di colori complementari si rendono l’un l’altro più accese, così in Jojo Rabbit l’esplosione della tragedia è ancora più sconvolgente quando pochi secondi prima si rideva serenamente. Penso che questa strana associazione fra uno degli argomenti più tristi possibili e una commedia leggera ma che conosce molto bene il suo posto permetta al film di essere un buon modo sia per introdurre il tema dell’Olocausto ai più giovani sia per aiutare chiunque desideri Ricordare ma non piangere per due ore.

Il tema principale del film, tanto importante al tempo come oggi, è la discriminazione razziale: l’Olocausto è utilizzato come matrice per rendere evidente l’insensatezza del razzismo verso qualunque etnia in qualunque epoca. Il film evidenzia quanto sciocchi e caricaturali fossero i pregiudizi verso gli ebrei negli anni della guerra, e questo messaggio si ricalca automaticamente sulle fisime dell’uomo moderno. Infatti, se oggi possiamo ridere della stupidità di quella dottrina, cosa penseremo domani delle banane lanciate ai calciatori di colore o dei commenti “ci godo” sotto le notizie di naufragi nel mediterraneo?

Riccardo Vezzani

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