#whomademyclothes? Ambiente e moda sostenibile

#whomademyclothes? Ambiente e moda sostenibile.

Il 24 aprile del 2013, il Rana Plaza building in Bangladesh crollò: più di 1100 persone morirono e altre 2500 rimasero ferite. La maggior parte dei lavoratori al suo interno produceva capi di abbigliamento per grandi industrie della moda. A seguito di questo drammatico episodio nacque Il movimento internazionale Fashion revolution che lotta per garantire il rispetto dei i diritti dei lavoratori e dell’ambiente, chiedendo a gran voce #whomademyclothes?

In questi giorni di chiusura forzata in casa siamo circondati dagli oggetti che abbiamo acquistato. I nostri armadi sono pieni di vestiti che non usiamo perché non dobbiamo più vestirci per gli altri ma solo per noi stessi. Giorno dopo giorno, vediamo come la pattumiera si riempie sempre di più e riusciamo finalmente a visualizzare concretamente gli scarti che produciamo. È essenziale allora cominciare a riflettere sul ruolo che la moda, o banalmente il nostro modo di vestirci, avrà in futuro. Nel mondo “pre-covid” vigeva il paradigma del consumismo: quanti di noi hanno acquistato capi che poi sono rimasti chiusi nell’armadio? Quante volte abbiamo ceduto alla (comprensibile) tentazione di comprare la T-shirt a 5€ anziché quella che costava 35€? Adesso abbiamo l’opportunità di chiederci: questi oggetti, questi vestiti, sono davvero utili? Mi servono davvero?

Normalmente non ci fermiamo a considerare questi aspetti. Siamo troppo di corsa e presi da mille impegni; lo shopping è un momento ricreativo e spesso compriamo solo per il gusto di possedere qualcosa di nuovo. Quando un indumento si rompe, o la taglia diventa improvvisamente troppo piccola, tendiamo a scartarlo: siamo pieni di vestiti da cui siamo emotivamente ed umanamente scollegati. Non sappiamo chi li ha prodotti, da dove vengano, non ci interessiamo neppure di quali materiali e quali risorse siano stati utilizzati per crearlo.

Che fare? Non possiamo di certo controllare la produzione delle multinazionali ma possiamo richiedere da parte loro più trasparenza. Ancora meglio, possiamo appoggiare quelle realtà che sviluppano ogni giorno un design più responsabile e sostenibile. Intervistato dal National Geographic Italia, Paul Dillinger, presidente del Global Product Innovation di Levi’s, ha ribadito che “dobbiamo creare capi per il futuro lontano, che vadano bene da qui a dieci anni, non solo per la prossima stagione. Dobbiamo filtrare le nostre scelte d’acquisto: pensiamo a come riciclare ciò che abbiamo già in casa. Ciò che indossiamo deve avere valore, in modo da non scartare così facilmente gli indumenti che non vanno più bene”.

Quest’anno, la Fashion revolution week (20 – 26 aprile) coincide con la Giornata Mondiale della Terra (22 aprile). Ogni anno l’Overshoot day (nel 2019 il 29 luglio) ci ricorda che siamo in debito con la Terra: consumiamo mediamente 1,75 pianeti all’anno. La comunità scientifica ci chiede ogni giorno di cominciare a cambiare le nostre abitudini, perché è l’insieme delle singole azioni che può portare ad un cambiamento significativo. Quale miglior punto di partenza se non il nostro modo di vestirci ogni giorno?

 

Se vi interessa l’argomento, potete seguire gli account @fash_rev e @fash_rev_italia su Instagram!

Intervista a Paul Dillinger su National Geographic Italia: https://www.nationalgeographic.it/cosa-ci-dice-la-terra (minuto 2:08:30 circa).

 

Alice Archiani

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