Nessuna scorciatoia per la ricostruzione

Urgenza e necessità

Ora che osiamo sperare di avere ormai alle spalle l’ora più buia della peggiore crisi sanitaria nella storia del nostro paese, è giunto il momento per il presidente Conte e il suo governo di fare i conti con le conseguenze economiche dello stop di quasi due mesi imposto all’economia.

Il decreto liquidità, atto a sostenere il tessuto economico-industriale della penisola, mostra però le prime ed importanti criticità; la macchina economica ideata dal governo pecca di inefficienza, figlia di un pesante e complesso sistema burocratico che rischia di stressare la struttura bancaria italiana, di escludere dagli investimenti le piccole e le medie imprese, mancanti dei requisiti per accedere alla liquidità da parte degli istituti di credito e di ritardare in modo irreversibile l’erogazione dei prestiti.

La mancanza di risorse, sommata ai tempi brevi richiesta alle aziende per saldare gli eventuali debiti contratti con le banche, traccia le linee di una realtà economica che spaventa gli investitori esteri ed allontana le possibilità di crescita del sistema paese.

Altro peso che grava sulla condizione italica è dato dalla frammentarietà europea, ora emersa, più che mai, dallo scontro sui mezzi utili per sostenere l’economia continentale. I Paesi della zona euro si dividono fra i sostenitori di una spartizione dei rischi (tra questi Italia e Spagna) e chi ritiene necessario mantenere una linea di stabilità (Germania e Olanda), spaventato dalle complicazioni derivate dall’alto debito dei paesi mediterranei e dalla storica incapacità nell’investire le risorse in modo mirato. Una eventuale mutualizzazione del rischio (ad esempio tramite l’istituzione dei corona-bond) in una realtà divisa come quella europea potrebbe inficiare il valore della moneta e, in caso di peggioramento della recessione economia che già si è impossessata dei mercati, trascinare verso un profondo baratro la realtà europea. L’emissione di titoli di debito europei sarebbe il risultato di contrattazioni complicate, necessitanti tempo e lucidità: basti pensare alle difficoltà emerse nell’individuazione dell’eventuale istituto emittente debito, dato che la stessa Banca centrale europea non potrebbe farlo.

Una delle soluzioni auspicate dai paesi del Nord Europa risiede nell’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità (MES), sicuramente non privo di rischi legati, in primis, alla eccessiva rigidità delle condizioni per ottenere il prestito e, quindi, da macchinosi sistemi di garanzia, col rischio di mancare in pieno una elasticità economica necessaria per adattarsi ad una condizione di particolare crisi come quella che si sta osservando. Ecco quindi la nascita di una linea di credito senza condizionali, se non quella di investire in spese sanitarie, chiamata “Pandemic credit line”, che garantirebbe all’Italia 36 miliardi di euro.

E’ quindi evidente come sia necessario continuare le trattative in merito a strumenti già esistenti e in grado di coprire investimenti mirati e strutturali, allontanandosi quindi dalla sterile e inutile polemica politica, per garantire fondi al sistema sanitario nazionale e per una efficace e veloce riapertura, tanto delle attività produttive e commerciali, quanto alla libera circolazione delle persone, unica medicina naturale contro la recessione economica.

Alessandro Stefani

 

Un muro chiamato realtà

E mentre sui tavoli europei si discute di soluzioni comuni per affrontare l’imminente recessione, la politica italiana ha inscenato il consueto gioco delle parti, studiato per creare qualche polemica in grado di mantenere i vari attori al centro della scena. Dai classici bisticci con un’immaginaria Europa matrigna alle falsità sul MES, ancora una volta la classe dirigente del paese ha dimostrato di non essere all’altezza della situazione, cercando in ogni modo di non affrontare le proprie responsabilità. Purtroppo però i difetti di una classe politica così immatura ed irresponsabile non sono che l’amaro ritratto di un paese che rifiuta continuamente il confronto con la realtà e che forse spera di poter scaricare il peso dei propri errori sulle future generazioni.

Questi giorni di tensione tra l’Italia e i paesi del nord Europa sono stati il pretesto per la riproposizione di una liturgia alla quale il paese è ormai abituato: i profili social si tingono del verde, bianco e rosso del tricolore, la rete si riempie di video e filma: della bandiera europea in fiamme, tutto l’arco costituzionale si unisce nell’indignazione per le parole di un quotidiano tedesco, e gli irrisolti problemi della nazione passano in secondo piano, coperti dal chiasso di una polemica vuota ed inconcludente. A muovere questa ripetitiva commedia è il senso di rivalsa che da molti anni alberga nella mente e del cuore degli italiani, un istinto di conservazione che prende il controllo dell’opinione pubblica ogni volta che il ventre molle del paese si sente colpito, ogni volta che il bagaglio di storture e fragilità del sistema viene scoperchiato.

Ed ecco che questo atavico complesso di inferiorità infiamma il grido nazionalista di una cittadinanza ferita, un grido che certo non può sfuggire al cinico calcolo di una politica spregiudicata, che preferisce manipolare istinti e pulsioni distruttive piuttosto che impegnarsi nella difficoltosa rigenerazione di paese ad un passo dal baratro: si sprecano allora le accuse e le recriminazioni rivolte ai vicini europei, invidiosi, parassitari e deficitari in termini di umanità, smaniosi unicamente di defraudare l’Italia dei gioielli del suo patrimonio industriale.

No, non ci sono nomi da fare, non ci sono colpevoli ed innocenti, buoni e cattivi, c’è una nazione intera davanti alle proprie responsabilità, ai troppi impegni posposti, ad un percorso di riforme mai convintamente intrapreso, alle macerie di un rovinoso sistema culturale. E non saranno gli “eurobond” dell’Unione Europea o il salvifico intervenuto di una personalità di spessore come Mario Draghi la panacea utile all’Italia per sfuggire al suo destino; a salvarla potrà essere solo un lungo e sofferto confronto con il passato. L’epidemia che si trova oggi a vivere il paese insieme al resto d’Europa può diventare il terreno giusto per sviluppare la catarsi necessaria a cambiare rotta, la presa di coscienza di una realtà ormai acclarata dai fatti: solo con l’umiltà di chi sa riconoscere le proprie fragilità e trovare la forza di migliorarsi l’Italia riacquisterà il ruolo e il prestigio che meriterebbe l’ottava economia del mondo.

E forse, quando riuscirà a guardare se stessa con occhi diversi, l’Italia potrà tornare a guardare con dignità e fierezza le altre nazioni europee, e a tessere con esse un futuro comune, rappresentato dall’Unione di 25 pesi molto diversi tra loro che però, insieme, rappresentano una potenza politica ed economica senza precedenti. Un progetto che vale davvero la pena intraprendere ma che necessita della forza e della convinzione di tutti i popoli europei.

Pietro Borsari

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