SILENA. L’inizio della fine

Gentile lettore,
Quello che stai per leggere è il primo di una serie di capitoli che raccontano un’unica storia. I seguenti verranno pubblicati periodicamente su questo stesso sito.
Buona lettura!

 

SILENA

Parte prima: L’inizio della fine

Julien non avrebbe mai immaginato che durante la sua vita avrebbe potuto assistere alla quasi morte di sua sorella.  In realtà, beh, non contava nemmeno di assistere a quella di qualcun altro. A dieci anni avrebbe dovuto rincorrere un pallone, leggere dei libri o rubacchiare le caramelle che la mamma nascondeva nel barattolo sulla mensola.

Non si assiste alla quasi morte delle persone. E invece a Julien era successo. La scena era ancora lì, impressa a fuoco nella sua mente… e non se ne sarebbe mai andata.

Ricordava tutto. Com’era vestito, com’era vestita lei. Che cappello aveva indosso e che bambola avesse scelto la bambina da portare con sé. Ricordava il tonfo. Il sangue che, come una rosa scarlatta, aveva macchiato l’asfalto bagnato. Anche il giorno. Se avesse avuto ancora con sé l’orologio di Topolino, avrebbe saputo dire anche l’ora. Tutto.

Accadde in inverno. Le strade erano ricoperte dalla neve sporca di due giorni prima.

Julien ricordava quella nevicata come la più bella della sua vita, perché papà era finalmente tornato a casa dopo mesi di assenza. Di notte aveva spesso udito la mamma singhiozzare, ma non aveva mai avuto il coraggio di andare da lei e consolarla. Forse perché temeva la sua reazione: quando restava da sola diventava intrattabile, sempre irritata e a volte quasi cattiva. Anche con Silena, che aveva solo cinque anni.

Ma quando tornava papà… era tutta un’altra storia. La mamma tornava ad essere allegra e l’atmosfera in casa si faceva più leggera e gioiosa.

E così era stato anche quel freddo giovedì di dicembre, quando la porta di casa si era aperta lentamente ed era comparso il volto rotondo e sorridente di suo padre. Avevano festeggiato, avevano mangiato pietanze appetitose (la mamma aveva acconsentito anche a preparare una torta al cioccolato, nonostante non le piacesse) e alla sera si erano addormentati tutti insieme in salotto, davanti al vecchio televisore.

La stessa cosa si era ripetuta il giorno dopo. Il terzo giorno invece, di prima mattina, la mamma aveva svegliato lui e Silena per mandarli a fare un po’ di spesa al negozio giù in paese.

<< La strada è lunga, è meglio se partite adesso. Voglio fare una sorpresa al papà per quando si sveglia >> aveva detto. Aveva già preparato la colazione e, una volta averli vestiti e essersi assicurata che fossero ben coperti, aveva dato i soldi a Julien.

<< State attenti! Silena, tieni la mano a tuo fratello e tu non perderla di vista. Non fate tardi e non parlate con gli sconosciuti>> si era raccomandata, dando un bacio sulla fronte a entrambi.

Julien ricordava che, una volta usciti, lei era rimasta sull’uscio, stretta nel suo vecchio maglione di lana, finché non avevano girato l’angolo.

Ricordava anche la sensazione di euforia che aveva provato: era lui il più grande, quello responsabile. La mamma si fidava di lui. La manina di Silena stretta nella sua lo rendeva orgoglioso. L’avrebbe protetta e non avrebbe permesso che qualcuno le facesse del male.

Avevano raggiunto in fretta il centro del paese, nonostante quel sabato ci fosse molta gente in giro. Si avvicinava il Natale e le persone si affrettavano a fare gli ultimi acquisti e comprare i regali.

Julien pensava oziosamente che per quell’anno avrebbe tanto voluto la nuova Play Station… tutti i suoi amici ne avevano una. In realtà papà ne aveva regalato una anche a lui, qualche anno prima, solo che era di seconda mano e non funzionava più tanto bene.

Era così distratto che non si accorse che avevano superato da un bel pezzo il minimarket, finché Silena non gli strattonò il braccio.

<< La mamma non ha detto di andare lì? >> pigolò lei, indicando col mento una bassa struttura nascosta tra due palazzi.

Julien si diede mentalmente dello stupido. Che avrebbe detto la mamma se lo avesse scoperto?

Fece per tornare indietro, quando con la coda dell’occhio vide il nuovo negozio di videogiochi che aveva aperto solo una settimana prima. D’improvviso gli era venuta un irrefrenabile desiderio di andarci. Almeno così avrebbe saputo scegliere quale gioco farsi regalare.

<< Senti Silena … io devo andare a fare una cosa. Mi aspetti qui? >>

Ricordava che sua sorella lo aveva fissato confusa. Che aveva cercato di trattenerlo per la manica del cappotto, ma che lui con un debole strattone si era liberato.

<< Faccio subito. Davvero. Sarò qui prima che tu te ne renda conto.>> le aveva promesso. Ne era certo. Il negozio era lì, davanti. Gli sarebbe bastato attraversare la strada e sarebbe stato dall’altra parte. Voleva solo dare un’occhiata e poi sarebbero andati a fare la spesa.

Ricordava che si era fatto giurare che Silena non avrebbe detto niente alla mamma e che sarebbe rimasta immobile al suo posto, abbracciata alla sua bambola. Sarebbe stato il loro piccolo segreto.

Ricordava che la strada era vuota – l’unica macchina era ancora vicino alla rotonda – e che ci aveva messo pochi secondi ad attraversarla.

Ma ricordava anche che si era alzato il vento. Non era tanto forte, ma abbastanza da far volare via la sciarpa di sua sorella.

Ricordava che, una volta sul marciapiede, si era voltato verso la sorella coi pollici alzati e il sorriso.

Un sorriso che si era spento non appena visto la sciarpa di Silena svolazzare in mezzo alla strada e sua sorella correrle dietro.

Ricordava il suono che avevano fatto le sue galosce rosa mentre saltavano nelle pozzanghere di neve sciolta.

Ricordava che, alla fine, la macchina della rotonda era arrivata.

Fu un attimo.

Ricordava lo stridore dei freni e il clacson che ruppe l’atmosfera di quella gelida mattinata di gennaio.

Ricordava che il tonfo del corpo di sua sorella, mentre rimbalzava contro il cofano, aveva coperto l’urlo che gli aveva graffiato la gola e bruciato I polmoni.

Ricordava la bambola di Silena che, nell’impatto, era atterrata ai suoi piedi.

I medici hanno uno strano modo di raccontare le cose. Usano termini difficili e si aspettano di vedere gli altri annuire e fingere di capire.

Julien li odiava, perché poi cercano di spiegarsi ma fanno ancora più confusione.

Quando avevano ricoverato sua sorella, gli avevano detto che era entrata in coma.

Avevano detto anche altre cose, tutte difficili, ma quella parola gli era rimasta particolarmente impressa nel cervello.

In pratica, dicevano, Silena era caduta in un sonno profondo e non si sapeva quando si sarebbe svegliata. Era come morta.

Julien aveva cercato di spiegare che non poteva essere così. Sua sorella era viva, lo capiva dal bip e dalle linee verdi che scorrevano sullo schermo vicino al suo letto. Lo aveva visto nei film, se quello schermo fa bip allora la persona è viva.

Ma nessuno gli credeva o lo ascoltava. Nemmeno la mamma o il papà. Dicevano che era colpa sua, che aveva ucciso sua sorella.

Solo una persona gli voleva bene. Si chiamava Rosalie, diceva di essere una psicologa. Era gentile con lui, parlavano insieme e gli faceva disegnare. A volte gli allungava anche un dolcetto di nascosto e gli strizzava l’occhio.

Ma a volte odiava anche lei. Perché quando parlava coi grandi, stava attenta a non chiamare Silena per nome. La chiamava “paziente” o peggio ancora “ vittima”. Una volta aveva parlato anche di lui a una donna col microfono. Julien quando lo aveva scoperto si era arrabbiato molto e per giorni aveva smesso di parlare e raccontare I suoi segreti a Rosalie.

Perché per tutti, anche per la mamma e il papà, sua sorella era diventata solo la bambina in coma della stanza al quinto piano, che non si svegliava.

 

La storia continua…

Selma Boukaid

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