Requiem for Pompei (dedicato a noi)

A Modena fino al 13 aprile, presso la sede di FMAV in via della Manifattura dei Tabacchi, è possibile visitare la mostra personale del fotografo Kenro Izu intitolata “Requiem for Pompei”. *

Cinquantacinque scatti in bianco e nero del maestro giapponese ritraggono le rovine della famosa città campana sepolta dal Vesuvio nel 79 d.C., restituendole intatto il fascino misterioso e solenne del suo mito.

La Pompei che Kenro Izu esplora portandoci con sé nel corso della mostra si rivela deserta, sospesa oltre il tempo come una metropoli postatomica. Stupenda ma fredda, la sua bellezza si fa contemplare in apnea: le terme vuote sembrano cripte, e l’anfiteatro spopolato fatica a reggere all’assedio della natura incolta. L’obiettivo di Izu, anche grazie alla scelta della fotografia in bianco e nero, è molto efficace nel cogliere e mettere in risalto il presagio inquietante sprigionato dalle architetture di Pompei. Ma per meglio esprimere la tragedia umana consumatasi in questi luoghi, Kenro Izu non si limita a fotografarli come sono, ma vi inserisce alcuni dei famosi calchi (frutto di una geniale intuizione dell’archeologo Giuseppe Fiorelli), la prova sempre emozionante degli esseri umani che Pompei la costruirono, la abitarono e vi morirono. Così nel visitare la mostra incontriamo, ora per le vie della città, ora nelle stanze delle lussuose ville pompeiane, alcuni dei suoi cittadini pietrificati: a dire il vero sempre gli stessi, in molteplici fotografie. Alla fine dell’esposizione ci sono ormai divenuti familiari: personaggi di cui potremmo immaginare la storia o inventare le vicende, ma di cui certo è il crudele destino.

Inoltre il Parco archeologico di Pompei, che co-promuove la mostra, ha concesso in prestito per l’occasione alcune riproduzioni dei celebri calchi, disseminate lungo il percorso espositivo in base alla crescente capacità di scuotere il visitatore. Il contesto della mostra, anziché attutire la portata dei calchi, riesce a dotarli di un’eloquenza ancor più profonda, perché la stessa distruzione di Pompei è, in un certo qual modo, simile a una fotografia, scattata all’improvviso senza il tempo di mettersi in posa.

 

Si esce da Requiem for Pompeidi Kenro Izu non senza un senso di tristezza e perdita, quasi come da una funzione funebre. Ciò rientra in pieno nelle intenzioni dell’artista, dato il titolo dell’esposizione; ma la malinconia per le vite spezzate dall’eruzione è facilmente diluita dal pensiero che la distruzione di Pompei ha avuto anche l’effetto collaterale di preservarla in eccezionale stato di conservazione fino ai nostri giorni. Pompei è un insetto nell’ambra, un gioiello del patrimonio storico-artistico italiano unico nel suo genere, nonché un sito UNESCO fra i più visitati. Nel 2019 secondo una classifica del MiBACT gli scavi di Pompei sono stati il terzo museo italiano per affluenza, sfiorando i 4 milioni di ingressi.

Pompei è una meraviglia tanto da valorizzare quanto da proteggere: tristemente nota alle cronache per i crolli protrattisi fino ai primi anni duemila, dal 2014 ha però conosciuto un massiccio intervento di restauro e messa in sicurezza grazie al “Grande Progetto Pompei” (un investimento di 105 milioni finanziato per la maggior parte dal FESR, il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale). Nel 2020 tale progetto è ormai entrato nella sua fase conclusiva, con l’apertura di tre nuove domus e la soddisfazione del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, secondo il quale Pompei oggi è “una bellissima storia di riscatto e rinascita”.

 

Ben più arduo è esorcizzare la percezione dell’impotenza dell’individuo umano di fronte alla catastrofe, l’altro persistente souvenir di cui la mostra di Kenro Izu omaggia il visitatore.

L’ansia da estinzione di massa è attualmente un elemento ricorrente nei media e nel dibattito pubblico e sui social, perlopiù collegato al tema della crisi climatica, che non cessa di scatenare reazioni e mobilitazioni in tutto il mondo (l’esempio più ovvio è il movimento Extinction Rebellion).

E in effetti gli sconvolgimenti ambientali e climatici a cui assistiamo e che il pianeta subirà in misura sempre più grave sono fenomeni di una tale potenza ed estensione che il singolo individuo ne viene inevitabilmente sopraffatto. In questo senso, è probabile che sempre più umani in futuro si troveranno a provare fin troppa empatia per l’angosciante calco pompeiano dell’ “uomo seduto con mano sul volto” presente in molti degli scatti di Kenro Izu.

Riservando però il panico agli eventuali ultimi istanti, quale altro atteggiamento è possibile e auspicabile assumere di fronte a un cataclisma imminente?

Ritornando al I secolo d.C., la risposta in voga fra i romani dell’epoca era l’apatia stoica, della quale Plinio il Vecchio dà un esempio ammirevole almeno nelle parole del nipote, chein una lettera a Tacito narra la sua impeccabile condottaantecedente la morte, avvenuta a Pompei proprio a causa dell’eruzione del Vesuvio: “per smorzare la sua paura con la propria serenità, si fa calare nel bagno: terminata la pulizia, prende posto a tavola e consuma la sua cena con un fare gioviale…”. Ma ammettiamolo, non è da tutti russare stoicamente in faccia al pericolo; e poi, la soluzione pliniana è anch’essa un’extrema ratio, un ansiolitico a disposizione del singolo il cui destino è segnato, adatta a una situazione in cui è ormai preclusa ogni prospettiva di salvezza.

 

Vogliamo, dobbiamo credere che invece sia ancora possibile agire insieme per arginare i cambiamenti climatici: in questa prospettiva molti sforzi si stanno facendo sul piano internazionale, anche sulla spinta della nuova sensibilità ambientalista recentemente propagatasi in tutto il mondo.

Vero è che la COP25 (la conferenza ONU sul cambiamento climatico) tenutasi a Madrid lo scorso dicembre non ha ottenuto i risultati sperati: i negoziati si sono infatti arenati sul nodo del mercato del carbonio di cui all’articolo 6 dell’ Accordo di Parigi, mentre l’obbligo assunto dai paesi ricchi di indicare entro il 2020 i propri target di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rappresenta l’unica, insufficiente “vittoria” dei cosiddetti “Paesi vulnerabili” (fra i quali figurano anche alcune plausibili “Pompei del terzo millennio”: le isole del Pacifico che potrebbero letteralmente sparire a causa dell’innalzamento del livello delle acque).

Ma l’Unione Europea è più ambiziosa, e sembra aver deciso di fare della causa greenla propria bandiera: dopo che a novembre il Parlamento Europeo aveva dichiarato l’emergenza climatica, la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha presentato l’European Green Deal, una nuova strategia di crescita che prevede di attivare investimenti verdi per un trilione di euro in dieci anni, impegnando il 25% del budget europeo e intersecando tutti i settori dell’economia con l’obiettivo principe che l’Europa diventi il primo continente a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Si tratta di un piano caratterizzato da una forte componente visionaria, sul quale sono già piovute diverse critiche intrise di legittimo scetticismo: i mille miliardi sbloccati per la transizione verde sono più una scommessa che una certezza (e comunque non basteranno), si dovranno rivedere le norme sugli aiuti di stato e riformare il Patto di Stabilità, la Commissione dovrebbe essere più pragmatica e meno idealista, e così via. D’altra parte, se è vero che si tratta di una sfida storica o addirittura esistenziale che non dà garanzie di vittoria, è anche innegabile che l’azione collettiva attraverso la cooperazione macroscopica fra quante più persone ed enti possibile è l’unico approccio razionale ad un problema di questo tipo e dimensioni.

 

Si presenta allora anche un altro problema che, detto semplicemente, è quello di calare il grande nel piccolo: far sì che il singolo cittadino possa sentirsi parte di questo cambiamento, certamente cruciale, che alcuni si spingono a definire paradigmatico. Come arricchire di consapevolezza la vita di ognuno? Ha senso ed è possibile centellinare la propria partecipazione alle grandi sfide del tempo, magari cercando di integrare la politica e i temi internazionali nella routine, alla stregua di una vitamina di cui siamo tutti, per forza di cose, un po’ carenti? Forse un’evoluzione in questa direzione sta già avvenendo. Se la cannuccia riutilizzabile comprata per moda al grido di “save the turtles!” non si limita a saziare la coscienza bruscamente risvegliata dall’attivismo di Greta Thunberg, ma funge anche da simbolo e segnale di una propria adesione all’ideale anti-spreco, questo ne è già un valido esempio. Ma non deve trattarsi per forza e solo di atti di consumo, per quanto sia vero che oggi si vota, in senso lato, soprattutto con il portafoglio. E’ logico invece che prima di sfoggiare un credo di qualsiasi tipo, magari attraverso i propri acquisti consapevoli, l’onere imprescindibile è quello di recepire, imparare, mettersi in grado di fare le proprie valutazioni autonome in merito a un argomento. E perché ciò avvenga servono gli adeguati stimoli e le giuste occasioni, nonché un po’ di tempo da investire in questi “esercizi spirituali” del tutto laici. Il Requiem for Pompeidi Kenro Izu richiede, a chi accetta l’invito a celebrarlo, un’ora o anche meno di tempo; inoltre rappresenta un’occasione da non perdere per apprezzare e riflettere sul messaggio delle opere di un grande artista della fotografia mondiale. Questo articolo, dal canto suo, si propone come semplice stimolo affinché il lettore si affretti a coglierla.

Lucia Bezzetto

 

* Post Scriptum: Questo articolo risale a prima che il dpcm dell’8 marzo 2020 determinasse la chiusura di “musei e … altri istituti e luoghi della cultura” in diverse province italiane, fra le quali Modena. Una misura necessaria (questa, come quelle che sono seguite) che purtroppo ha di fatto anticipato il termine della mostra, impedendo a molte persone di vederla.

Pubblichiamo allora questo articolo non più come un invito, ma come una cartolina, un tributo, una riflessione sull’arte.

La cui bellezza è incompleta, se non viene condivisa.

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