The Great Strike: La non rivoluzione dei “Fridays for Future”

 

Senza nulla togliere al genuino coraggio che solo un giovane e attivo movimento idealista può dimostrare è necessario in egual modo sottolineare i tratti più ipocriti dei Climate Strikes. Di polemiche ne sono nate, fin troppe. Polemiche inutili e senza alcun fine, capaci solamente di riempire qualche pagina di giornale in maniera sterile e non in grado di alimentare un dibattito capace di generare interrogativi sul futuro sociale del mondo. Si è assistito ad una serie di manifestazioni mai realmente osteggiate, se non da chi fosse intenzionato a cavalcare l’onda mediatica di cui era inevitabilmente intriso il “Global Strike 4 Future”. Non ci troviamo di fronte ad un nuovo “1968”, non esiste alcun pericolo di destabilizzazione dei diversi sistemi governativi occidentali. Non si sono innalzate bandiere a difesa dei diritti fondamentali dell’uomo che ancora oggi vengono calpestati e non si sono affiancate discussioni sulla condizione in cui sono costretti innumerevoli lavoratori per mantenere il ritmo produttivo inumano in grado sostenere un’economia puramente consumistica e votata all’eccesso. Certo, i “Fridays for Future” nascono per dare spazio alla realtà dei cambiamenti climatici di cui l’uomo è responsabile, situazione però che si trova ad essere solamente una piccola parte di un sistema capitalistico basato sullo sfruttamento di ogni risorsa, anche umana, fonte di guadagno e di sostentamento. I diversi Global Strike sono stati e saranno uno spreco di possibilità, quella di sensibilizzare in maniera completa e profonda l’opinione pubblica sui caratteri più assurdi, grotteschi e discutibili di un sistema internazionale basato sulla pura speculazione, che colpirà anche tutte le manovre destinate a cambiare i consumi di massa, accompagnando le persone verso l’utilizzo di prodotti all’apparenza “verdi” ma dietro i quali si nasconde lo stesso metodo speculativo della “old economy”.

Allo stato attuale i “Fridays for Future” sono solamente una colorata e piacevole sfumatura dello stesso criticato sistema. La speranza è quella di una coscienziosa evoluzione delle manifestazioni, in modo tale da dare un reale peso alle azioni di protesta, ottenendo veri risultati e non promesse intrise della stessa ridondante, stonata e pesante retorica presente sui cartelloni dei manifestanti. La triste verità è che ad oggi, una volta terminati gli scioperi, gli individui presenti nelle piazze non avranno rinunciato se non in minima parte, a tutto ciò che deriva dalle multinazionali. Continueranno ad acquistare i capi d’abbigliamento prodotti a basso costo dal Vietnam alla Cina, ad essere dipendenti dagli smartphone composti da materiali estratti in Africa e ad utilizzare i social per urlare silenziosamente il proprio sdegno di fronte ad una qualsiasi ingiustizia. Tutto ciò sarà poi lasciato cadere nell’amnesia collettiva di cui tutti soffriamo, con la fiera consapevolezza di essere stati portavoce di un astratto e virtuale cambiamento ovvero dell’aver seguito una moda di protesta.

Alessandro Stefani

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