ALLA RICERCA DELLA CULTURA HIP HOP: UNA RIFLESSIONE STORICA CONTRO ALCUNI PREGIUDIZI

Rieccoci qui ragazzi, con la seconda puntata di questa rubrica dedicata alla scoperta della cultura Hip Hop. In questa sede vorrei soffermarmi su una riflessione storica che desidero fare, sia come ballerino appartenente a questa cultura, sia come studioso e aspirante storico di essa.

Nel corso degli anni si sono sentite tante storie, visioni negative, pregiudizi di ogni genere su questa cultura, del tipo “essa genera violenza”, “è una cultura di gangster e parolacce”, “è solo fatta da maschi e per maschi”. Il punto di partenza della mia critica storica e sociologica è la seguente fotografia, che ritrae la drammatica situazione in cui versava il Bronx, un quartiere storico della città di New York, nella metà degli anni ’70 del Novecento.

Inizierei con lo smentire in maniera netta il classico pregiudizio sul carattere violento della cultura Hip Hop per una serie di motivi. Innanzitutto essa è nata da una situazione di estrema fatiscenza, povertà, noncuranza per le condizioni degli abitanti trattati come animali nei ghetti e nei quartieri come il Bronx, con frequentissimi episodi di violenza e di razzismo da parte delle forze dell’ordine nei confronti di ragazzi e persone di colore nero, a prescindere dal fatto che fossero donne, bambini, vecchi. Mancava l’acqua potabile nelle case, l’elettricità andava e veniva, il rifornimento dei beni alimentari e di prima necessità era inadeguato rispetto alle gravi esigenze della popolazione locale. Oltre a ciò, il quartiere era governato da una serie di gang che si dividevano il controllo di alcune sezioni di territorio, grazie all’uso di simboli, codici comunicativi, norme di comportamento in fatto di transito e di vestiario. Quindi per riassumere, non è l’Hip Hop che ha generato la violenza, ma è esattamente il contrario: il livello di violenza così estremo causato dalle continue faide tra le gang, portò alla necessità di una tregua tra le varie bande e alla ricerca di nuovi modi per raggiungere una pace quantomeno momentanea. Ormai la sopravvivenza quotidiana anche per uscire semplicemente in strada, era priva di qualunque sicurezza di poter fare ritorno da vivi nelle proprie case, visto il clima di tensione così estremo.

In questo scenario di grande fragilità, entrarono in gioco i due padrini che fondarono la cultura Hip Hop, e che potete vedere rappresentati in questa foto da sinistra: Afrika Bambataa e Dj Kool Herc.

Bambataa fondò l’organizzazione detta Universal Zulu Nation, comprendente tanti ballerini e ballerine, e anche molti altri membri che in qualche modo si sentivano appartenere alla cultura Hip Hop. Il messaggio che cercò di diffondere fin da subito, tramite le sue feste dette “Block Party” e la sua organizzazione, si riassume in 4 parole, che diventeranno da ora in poi il vero messaggio autentico dello spirito Hip Hop: peace, unity, love and having fun (pace,unità, amore e divertimento). Kool Herc inventò e introdusse l’arte del Djing, uno degli elementi di base dell’Hip Hop, contribuì alla diffusione delle sfide tra dj in occasione di feste enormi, con la partecipazione di tanti street-dancer (ovvero ballerini di strada: il termine fa riferimento al fatto che, oltre a ballare improvvisando e perfezionando il proprio stile nei confronti con gli altri ballerini, essi si esibivano in strada, nei parchi, in zone urbane da cui deriva un altro nome più generale che serve a classificare l’elemento della danza dell’Hip Hop tra le “danze urbane”, ovvero tra quelle nate e sviluppate in strada), in una generale atmosfera sempre più tesa al divertimento, alla competizione a suon di danza, abbandonando le armi per indossare le scarpe e le tute adatte alle gare.

In sostanza dunque, l’Hip Hop rappresentò una valida alternativa a suon di divertimento, condivisione, pace e unità, allo scenario apocalittico di violenza e razzismo nelle strade, causate da una totale mancanza di cura, supporto concreto di aiuti da parte delle amministrazioni cittadine americane. L’Hip Hop nasce ed esiste per unire tante persone sotto la bandiera della danza e del divertimento, della conoscenza, del rispetto reciproco per combattere una situazione paradossale di violenza estrema da cui è nato.

Sul secondo pregiudizio riguardante la presenza di gangster e di parolacce, serve fare una precisazione assolutamente necessaria per una corretta informazione. Innanzitutto è vero che nei primi testi rappati dai primi Mc (Master of Cerimonies) compaiono termini volgari, ma non dobbiamo dimenticare il contesto che ha dato luogo a questa forma espressiva artistica. Il Rap, aspetto fondamentale della cultura Hip Hop, nasce precisamente come comunicazione che serve a illustrare da una parte, le storie di vita di chi ha vissuto quelle esperienze drammatiche, dure, di sopravvivenza ai limiti dell’impossibile. Ma dall’altro lato, serve anche a esprimere tutta la rabbia accumulata per quella situazione, come sfogo emotivo e psicologico personale. Le parole volgari presenti nei primi testi vanno dunque contestualizzate nello scenario di vita quotidiana in cui sono cresciuti i loro autori. Non erano parole tese ad offendere qualcuno senza motivo, ma avevano un preciso duplice scopo: sfogare la propria rabbia, tensione, frustrazione per la grave situazione in cui si viveva, e allo stesso tempo, attirare l’attenzione di qualunque mezzo di comunicazione di massa per avere una maggiore visibilità dinanzi alle amministrazioni e poter nutrire la speranza di un cambiamento migliore. Poi è chiaro che con il tempo, con lo sviluppo del fenomeno tipico degli anni recenti, detto Trap, che non ha nulla a che fare con il messaggio autentico della cultura Hip Hop, la volgarità terminologica ha assunto un aspetto più estetico, teso a far vendere di più il proprio singolo perché dotato di una carica emotiva più aggressiva, allontanandosi totalmente dal significato originario del Rap. Sulla presenza dei gangster si può dire, molto brevemente, che nell’immaginario collettivo essa ci richiama i tipici criminali mafiosi che spadroneggiano la città, con sacchi di soldi e loschi individui ai loro servizi. In realtà, i veri gangster furono solamente i primi membri delle gang (da cui la parola gangster) e gli spacciatori di droga, detti pusher, figure poi scomparse o comunque fortemente ridotte grazie al contributo di Bambataa e di Herc.

Infine, per concludere con l’ultimo pregiudizio secondo cui la cultura Hip Hop sarebbe esclusivamente maschilista, non si può certamente negare che la grande maggioranza dei protagonisti che ne hanno segnato la storia, dai primi anni all’epoca contemporanea, siano stati uomini (writer, dj, b-boy, mc). Però questo non significa assolutamente che non vi sia stata e vi sia tutt’ora, una nutrita presenza femminile. Mi vengono in mente Roxanne Shantè, Mc Lyte, il gruppo dei The Fugees, le Salt’N Pepa, Missy Elliott, Queen Latifaah, ognuna con un proprio importantissimo contributo, specialmente dal punto di vista musicale e testuale. Certo, con il passare degli anni anche in questo ambito ci sono state evoluzioni dall’autenticità all’aspetto commerciale, però la presenza femminile è rimasta e si è forse ampliata.

Chissà cosa accadrà nei prossimi anni a questa cultura. Lo scopriremo solo vivendo, o meglio ballando, cantando, divertendoci insomma perché lo spirito originario è stato e resterà sempre e solo questo.

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