“Il Tempo degli Uomini”

Non essendo uomo di lettere, quando Chiara mi ha chiesto di scrivere una prefazione a questo suo lavoro, confesso che ho temuto di non essere in grado di farlo adeguatamente.

Ma sono medico, abituato a convivere col dolore e le sofferenze delle persone, e dentro queste pagine ho trovato il sapore e le atmosfere di vite autentiche“.

 

Così inizia la prefazione al libro di Chiara Babeli, a cura del medico Mauro Fantini che, nell’ultimo anno, ha spesso accompagnato Chiara nelle serate di presentazione dell’opera, attraverso la lettura dei passaggi più significativi che rievocano le atmosfere di quel tempo, il tempo degli Uomini.

Un tempo in cui di umano sembra essere rimasto ben poco, se si scruta la Storia dall’alto, ma che si rivela solidale e coraggioso, se si scende planando fino ad atterrare nei piccoli paesini della nostra provincia. Prignano, in particolare, con qualche accenno di Sassuolo e Reggio, e persino alcuni sprazzi della vita all’estero.

Certo, questa è un’opportunità che raramente i manuali di Storia ci regalano, ma che Chiara Babeli, laureata in Scienze della Cultura e specializzata in Analisi dei conflitti, ci offre con straordinario tatto, prendendoci per mano e guidandoci casa per casa, ad ascoltare chi è sopravvissuto a tante turbolenze e adesso ci parla di un’epoca che sembra quasi impossibile sia esistita davvero.

 

Undici sono i racconti riportati nel libro, sei donne e cinque uomini. Non sappiamo altro di loro, se non ciò che volontariamente scelgono di far trasparire dai loro ricordi, perché ogni racconto corrisponde ad una data, non ad un nome, in questa preziosa testimonianza di 155 pagine.

È una scelta saggia, e anche piuttosto significativa.

Perché queste sono vicende ordinarie nella loro straordinarietà, storie di umanità e valori, non di grandi nomi e cognomi: quelli appartengono alla Storia con la maiuscola, ma qui c’è qualcosa di più.

 

Il libro dei ricordi scritto da Chiara narra dei piccoli, meravigliosi uomini comuni; si svolge nella campagna Modenese, nella piazza di Prignano, nelle casette di città le cui finestrelle tremano impaurite allo scoppio delle bombe; nei campi di concentramento in cui qualcuno, strappato alla speranza di una vita normale, ricorda di non aver più avuto il tempo di pensare, o di leggere, o di amare: bisognava conservare le forze per sopravvivere, e così ha fatto. Magari con l’aiuto di qualche piccola rimembranza di casa, come il piatto di cappelletti che avrebbe preferito alla sbobba del campo.

 

È la storia quotidiana di uomini che hanno reagito all’orrore e hanno dovuto ingegnarsi per farlo, mentre altri uomini, con più potere e forse meno coraggio, tiravano le fila del loro destino senza consultarli.

 

E nonostante questo, è la storia di chi è andato avanti senza perdersi d’animo, avanzando nel buio di un equilibrio vita-morte ormai sconvolto, nello sconforto e nell’incertezza; avanti, fino a ritrovare il sole.

 

I giorni passavano più o meno tutti uguali per noi, spesso le forze alleate bombardavano la zona e noi dovevamo andare ad aggiustare i tubi che si rompevano sotto le strade, dove le bombe scoppiando avevano creato dei buchi a forma di grandi imbuti. Un giorno eravamo sul fondo di una di quelle buche quando vedemmo passare una bella donna sopra di noi. Avrà avuto sui trentacinque anni, bionda, capelli raccolti sotto il cappello largo e un completo blu, con la gonna, che lasciava intravedere ciò che di solito era impossibile vedere, lassù in cima alle gambe, a noi che ce ne stavamo qualche metro sottoterra. Il nostro capo tedesco, che faceva abbastanza il simpatico, le rivolse subito la parola (…).

Poi tutto a un tratto, mentre noi eravamo intenti a seguire la conversazione, ci raggiunse il rumore di un aereo che passò sulle nostre teste mitragliando la strada. La bella sconosciuta ci cadde addosso, il sangue che fuoriusciva dalle decine di buchi che avevano rotto il suo giovane corpo. Questione di un attimo, e anche lei non esisteva più“.

 

Nonostante tutto, ciò che mi ha regalato anche un piccolo sorriso, in questo libricino prezioso, è l’impressione che la violenza e la crudeltà non abbiano mai davvero vinto: non nel cuore di chi ha lottato per non perdersi, per ricordare cosa fosse la solidarietà. E non solo tra Italiani.

Ci chiusero in un campo di concentramento appena fuori città dove erano state costruite delle baracche di legno che parevano senza fine. Iniziammo a lavorare subito, il giorno dopo il nostro arrivo. Eravamo spazzini, e quello fu il nostro lavoro quotidiano per più di un anno e mezzo. (…)

Me ne stavo lungo un marciapiede con lo sguardo a terra, mentre raccoglievo la spazzatura come ogni giorno, quando vidi qualcosa cadermi ai piedi, per poco non mi aveva colpito. Era un libro. Mi guardai attorno per vedere chi lo avesse lanciato, ma in quel momento le uniche persone che camminavano erano dall’altra parte della strada e non badavano a me. Allora guardai verso l’alto e vidi una donna affacciata alla finestra. Mi fece un rapido sorriso e poi tornò subito dentro a quello che probabilmente era l’ufficio dove lavorava. (…) Notai poi che a fianco delle parole tedesche ce ne erano scritte delle altre che invece conoscevo molto bene, erano infatti italiane, e quel libro non era altro che un piccolo vocabolario!

 

Infine, dopo la tempesta, c’è spazio anche per il sollievo nelle memorie di una Prignano provata, forte, rinata:

Erano anni di miglioramento quelli, ero riuscito ad allargare la casa poco alla volta, e a riportare a casa i miei figli affinché vivessimo tutti insieme. (…)

Dopo anni di prigionia, di lavoro nei campi, di manovalanza nella costruzione del campanile della chiesa e di lavoro in ceramica, potei finalmente sedermi sotto il portichetto di casa a osservare l’acqua del mio amato Rossenna che stava rallentando il suo corso, mostrando meno energia e decisione, un po’ come stava accadendo a me“.

 

Forse di questo sollievo dovremmo imparare a far tesoro, smettendo di darlo per scontato. Libri come “Il tempo degli Uomini” ci insegnano quanto sia importante far fronte alle avversità con umiltà e coraggio, come i protagonisti di quei capitoli; allo stesso tempo, evidenziano con quale urgenza dovremmo abbandonare i pensieri di odio, violenza, superiorità e vendetta che stanno ricominciando a permeare la nostra epoca.

Prima che sia tardi, come lo fu allora. Prima che la sopravvivenza torni ad essere l’unico pensiero in grado di occupare le nostre menti.

Il tempo degli Uomini è un’epoca da cui imparare, non della quale avere nostalgia.

 

Martina Suraci

Scienze Biologiche

Unimore

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