E se fossimo noi Adrian?

Sperando di diventare un appuntamento fisso un po’ come “Una poltrona per due” sotto le feste, imbocchiamo la strada della seconda uscita. A mo’ di zia che non vedi mai, permettimi qualche convenevole facendo gli auguri ai nuovi redattori, a Mo.Cu che si è occupata della grafica e alla prima collaboratrice che si occuperà di una rubrica artistica fissa. Continuiamo quindi ad espandere la nostra offerta e a perseguire l’obiettivo ambizioso di riunire sotto questo progetto buona parte dell’iniziativa artistica e culturale di tutti gli studenti e proprio per questo le porte della nostra redazione sono aperte.

Passando al post convenevoli, parliamo dell’argomento principale dell’articolo, quello che ha tenuto paralizzato il paese in queste settimane in preda al riso e allo shitposting ossia il nostro paladino virtuale di oggi, Adrian.

Per chi non lo sapesse, Adrian è un’esperienza mistica andata in onda su Canale Cinque. Parlo di “esperienza mistica” in quanto se preso come esaltazione di ciò che fa ridere in quanto brutto, è l’equivalente del Valhalla nella mitologia norrena. Se tuttavia ci concentrassimo semplicemente sul prendere per i fondelli il programma di Celentano, questo non sarebbe un editoriale in quanto non porterebbe un’opinione e soprattutto, per quello sarebbe bastato avere un accesso ad Internet nell’ultimo mese/mese e mezzo.

Quindi ti dirò, dopo una prima fase in cui non ho dato particolare peso a questa esperienza televisiva, guardando per caso il video di Wesa Channel sull’argomento (youtuber che vi consiglio), ho pensato che effettivamente Adrian rappresenti qualcosa di decisamente profondo, che per certi versi rappresenti perfettamente l’Italia.

Mi spiego meglio. Vorrei partire da una scena in particolare della serie, quella (che poi è diventata un meme diffusissimo) nella quale compare per la prima volta l’edificio della “Mafia International”, un grattacielo che sovrasta questa Napoli futuristica descritta dalla mente di Celentano. Ecco, al di là delle polemiche (giuste) per la rappresentazione orrenda che l’autore fa di Napoli, fa pensare il motivo per il quale abbia concepito l’idea di inserire questo particolare. Ritengo che sia frutto tutt’altro che di becera ignoranza; o meglio che questa ignoranza sia per certi versi così diffusa da costituire sostanzialmente un sub strato culturale. Che questo, ed altri concetti veicolati da Adrian, benché vengano considerati superati, obsoleti e non condivisi, siano in realtà preconcetti presenti in tutti noi. Oggi sappiamo che le infiltrazioni mafiose non siano solo in Campania eppure continua a vivere nel lato irrazionale dell’italiano lo stereotipo del napoletano affiliato alla cosca. Allo stesso modo nel programma viene rappresentata la donna quale oggetto di conquista, un trofeo che attende di essere preso, in una visione dei rapporti sentimentali che può essere benissimo riassunta nell’uomo che munito di clava ammazza la preda e la porta nella caverna. O ancora la visione del potere che seppur non esplicita, aleggia, quale entità inconoscibile e maligna che manovra tutti come pupazzi e dell’esaltazione dell’ignoranza come “garanzia” di purezza d’animo. Tutte queste cose sappiamo benissimo tutti essere eresie, l’avere conoscenza di un argomento non significa l’essere propensi a ingannare il prossimo (ed essendo universitari dovremmo esserne la prova), i complotti spesso sono raggiri per spillare denaro e soprattutto le donne sono esseri umani e non selvaggina. Eppure, potresti prendere una persona a caso per strada e intervistandola noteresti che certamente direbbe che tutte queste cose non sono vere ma ti assicuro che l’espressione che vorrebbe usare sarebbe con tutta probabilità “non sono vere, ma..”.

In questo senso Adrian ha il grande pregio di essere involontariamente geniale in due sensi: da un lato è un prodotto che per chi ama il trash è paragonabile forse solo ai cartoni della Dingo Pictures (se conoscete Yotobi sapete di cosa parlo), dall’altro dà una chiave di lettura di molti fenomeni politici e culturali in Italia. Fa emergere come il qualunquismo non sia un fenomeno frutto dei tempi, legato ad una certa propaganda o ad internet stesso (tanto per rispondere a chi attribuisce la colpa delle fake news ad Internet) quanto il frutto di una sorta di tacite convinzioni così presenti nella cultura italiana da essere da alcuni percepiti come verosimili o quanto meno rappresentativi di una realtà possibile. Usando meno voli pindarici, fa emergere ad esempio come il laureato sia spesso bistrattato perché sotto sotto si pensa che la persona che abbia dedicato anni allo studio “non sappia vivere” o “non imparerà mai il lavoro vero”. Di conseguenza il laureato non merita il riconoscimento della propria preparazione durata anni, bensì sia sovrapponibile se non peggio di un’altra persona che invece non ha optato per una laurea. Dunque, Adrian credo che nel complesso faccia sì ridere ma che siano lacrime amare, in quanto riesce a far emergere meglio di mille trattati politici e sociologici sull’argomento, i motivi di alcuni problemi della nostra società e nello specifico l’esaltazione dell’ignoranza e la visione della donna oggetto. Fa emergere come siano problemi profondi e non temporanei, legati a tantissimi preconcetti che sentiamo e nei quali siamo immersi ogni giorno, dal laureato che non sa fare nulla alla donna che deve realizzarsi facendo figli e non con il lavoro.

Al posto di Adrian potresti scrivere Giacomo, Stefano, Luca e parte delle convezioni le ritroveresti ugualmente. Semplicemente, questo mostro chiamato Adrian può essere il tuo vicino di casa, può essere nell’intimo una parte di me o di te, perché Adrian è l’Italia.

 

Matteo Ballotta, Direttore

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