Mala tempora currunt, signora mia!

Tra un governo in cui la forza di minoranza spadroneggia in ogni aspetto dell’attività dell’esecutivo e un’opposizione senza arte né parte, per ora troppo impegnata in vista di un congresso che si preannuncia come mera resa dei conti all’interno di una (ex) classe dirigente (o dominante, se volessimo usare le categorie gramsciane); la situazione risulta vera-mente sconfortante. Questo anche senza addentrarsi nella interminabile serie di polemiche e polemicucce che da giugno si susseguono senza soluzione di con-tinuità. Ultima ma non ultima la questione del “Decreto Genova”, che di tutto si occupa (condoni edilizi, quantità di idrocarburi nel suolo ecc…) fuorché di Genova; ma potremmo citare il “Decreto Sicurezza”, cavallo di battaglia del Ministro Salvini, sospettato di incostituzionalità da parte del Csm; o ancora i tagli per 100 milioni di euro a scuola, uni-versità e ricerca. La cosa più preoccupante è però l’atteggiamento, questa volta trasversale alle forze di maggioranza, di continua e crescente insofferenza nei confronti degli organi di controllo della nostra democrazia; basti anche solo vedere l’atteggiamento
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assunto dai leader (e di conseguenza dalla maggior parte dell’elettorato) del Movimento 5 Stelle contro il giornalismo tutto (o quasi). Atteggiamento, questo, che viene da lontano: chi se li ricorda i Vaffa Day o le “liste di proscrizione” di sillana memoria stilate da Grillo sul suo Blog? O ancora le parole di Salvini rivolte al procuratore di Torino Armando Spataro, con cui lo invitava a candidarsi alle elezioni se la pensava diversamente da lui (come se servisse la legittimazione popolare per invitare il governo a rispettare le leggi vigenti e la costituzione)?. Viene il sospetto, vista anche la pletora di “amicizie” internazionali intessute dal Ministro de-gli Interni, che queste uscite del leader del Carroccio non siano le gaffe di una classe politica inesperta e nuova alle dinamiche di palazzo (lui stesso fa politica dal ’93) ma siano bensì, ipotesi più inquietante ma ahimè più probabile, espressione di un pro-getto politico di lunga durata che ha nella delegitti-mazione della democrazia liberale e dello stato di diritto due dei suoi obbiettivi cardine. D’altro canto, è stato lo stesso Salvini a gioire ripetutamente per le vittorie e le prese di posizione di Orbàn (quello che vuole le democrazie illiberali, per intenderci) e di tutto il cosiddetto Gruppo di Vysegrad.
Si potrebbero anche citare gli sforzi di Steve Bannon, già consigliere di Donald J. Trump, ora impegnato in una crociata per la costruzione di una sorta di Internazionale dei Sovranisti (o Internazionale dei Nazionalisti, se si vuole mettere in risalto l’ossi-moro).
Ma, per citare un adagio popolare in voga durante gli ultimi anni, “e il PD che fa?”.
Il Partito Democratico, nobile erede delle due principali culture dell’Italia repubblicana, quella Comunista e Socialista da una parte e quella Democristiana dall’altra è ormai da anni (dalla sua creazione?) in preda ad una crisi di identità da cui non riesce ad uscire. Crisi che si è acuita nell’ultimo quinquennio e che ha portato a due scissioni (Civati 2015; MDP2017).Oltre a queste problematiche si aggiunge l’incapacità manifesta di una classe dirigente che ha perso orizzonti ideali, idee, abilità dialettiche e, cosa più grave, la capacità empatica nei confronti del suo elettorato di riferimento. Un elettorato che non solo non è più in grado di comprendere, rassicurare e guidare; ma che si è ritrovata sempre più spesso a dileggiare e insultare, “come un Burioni qualsiasi”, per citare una frase vittima di numerosi fraintendimenti che ha fatto tanto scalpore nei giorni scorsi.
Insomma, se queste sono le premesse dei prossimi quattro anni e mezzo di governo, se il livello del dibattito interno al principale partito di opposizione dovesse rimanere tale e quale a come è ora; se il congresso annunciato per i primi mesi del 2019 dovesse risultare ancora, per l’ennesima volta nient’altro che una stanca e ormai ripetitiva resa dei conti tra correnti e leaderismi quantomai patetici dovremmo abituarci alla nuova idea di stato illiberale dei novelli paladini del popolo. Con buona pace di molti di noi.

 

 

Riccardo Martino

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